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All’Italia costa molto caro la fuga di cervelli


La “fuga di cervelli” altamente qualificati rappresenta una grande perdita per l’Italia, infatti, negli ultimi dieci anni sono emigrati per lavorare e vivere all’estero oltre 1,3 milioni di giovani.

Questo esodo sottrae risorse preziose, comporta  significative perdite economiche e mette a repentaglio il futuro del Paese, per contrastare questo fenomeno, occorre comprendere le dimensioni, le motivazioni e l’impatto.

Una larga parte di questi emigrati sono giovani tra i 25 e i 34 anni, molti dei quali altamente qualificati; ricercatori, ingegneri e medici, questa fuga  è particolarmente preoccupante, considerando la bassa percentuale di laureati in Italia: solo il 18,5%, contro una media europea del 31,5%, a questo fenomeno si contrappone la scarsa capacità dell’Italia di attrarre talenti dall’estero.

L’Italia attrae solo il 6% dei giovani europei qualificati, rispetto al 43% della Svizzera o al 32% della Spagna, la media è per ogni giovane straniero che si stabilisce in Italia per lavoro, quasi nove giovani emigrano.

Dietro la fuga di cervelli ci sono i problemi strutturali del mercato del lavoro, caratterizzato da un tessuto imprenditoriale di piccole-medie imprese, che faticano a competere su scala internazionale, a cui si aggiungono i limitati investimenti in innovazione e formazione che determinano una produttività stagnante, da rendere; i salari fermi, le opportunità di crescita professionale ridotte e un mercato del lavoro poco dinamico.

La mancanza di dinamicità impedisce al sistema di adattarsi alle esigenze di mercato, con aziende che assumono poco e dipendenti che cambiano raramente lavoro, anche se insoddisfatti e con poche opportunità di carriera o di aumenti salariali.  

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Un ambiente stagnante si riflette nella precarietà dei contratti, nella scarsa meritocrazia e in tassi elevati di disoccupazione giovanile, che in Italia raggiunge il 17,7% superando la media europea al 15,2%, inoltre gli stipendi sono fermi da oltre 20 anni e non sono competitivi rispetto a quelli esteri.

Un giovane laureato che va a lavorare all’estero guadagna, a un anno dalla laurea, uno stipendio netto mensile di circa duemila euro netti, contro i 1384 di chi resta in Italia. Inoltre, il vantaggio economico della laurea in Italia è minore: il premio salariale tra laureati e diplomati è solo del 30%, significativamente inferiore al 48% della media europea.

Una stima approssimativa riporta che il capitale umano emigrato dall’Italia tra il 2011 e il 2023 ha comportato un costo per l’economia nazionale di 134 miliardi di euro, dovuto al mancato recupero delle tasse, sono giovani formati nelle istituzioni italiane, che poi contribuiscono fiscalmente nei paesi esteri, a questo si aggiunge la perdita di capacità innovativa e competitiva delle imprese italiane, dovuta alla mancanza di giovani specializzati.

Al danno economico si aggiunge il declino demografico, questi giovani formeranno famiglie all’estero, accelerando l’invecchiamento della popolazione italiana.

Negli ultimi anni il governo italiano ha introdotto alcuni incentivi fiscali per favorire il rientro di lavoratori qualificati che vivono all’estero, misure che si sono dimostrate inefficaci, in quanto l’emigrazione non solo è continuata, ma è addirittura aumentata, mentre i rientri sono rimasti stabili.

È urgente ripensare ad incentivi fiscali che rendano l’Italia più attraente ai talenti emigrati e a quelli esteri e  prevengano la fuga di cervelli.

È necessario aumentare i fondi e le borse di studio, che facciano competere l’Italia con l’estero, evitando la diaspora dei dottorandi.

Oggi l’Italia è il fanalino di coda si investe solo lo 0,9% del PIL nell’istruzione universitaria, contro una media OCSE dell’1,45%, un divario che equivale a circa 10 miliardi di euro in meno, per contrastare questo fenomeno sarà essenziale semplificare la burocrazia e facilitare l’accesso ai capitali per le startup, incentivando i giovani a fondare nuove imprese innovative.

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L’87% degli espatriati valuta positivamente la propria esperienza all’estero non avendo opportunità lavorative in Italia, con la percezione di una limitata apertura culturale e internazionale oltre ad una percepita qualità della vita  superiore all’estero.

L’Italia sta perdendo la gioventù, ma anche il potenziale di un futuro prospero e competitivo, è fondamentale adottare un approccio più strutturato per arginare le cause di questo fenomeno, al momento, non sembrano esserci proposte concrete, né un’adeguata attenzione politica su questo problema. 

Alfredo Magnifico





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