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Emilia-Romagna, il boom delle crisi aziendali: «Si parla del Green deal nel 2035 ma il problema è il cambiamento nei prossimi 3-4 anni»


di
Marco Madonia

L’assessore e vicepresidente della Regione, Vincenzo Colla eil contatore di Cgil e Uil: nel 2024 in regione sono state autorizzate 60,5 milioni di ore di cassa integrazione, oltre 21 milioni in più (+54,7%) del 2023

«L’incremento dell’uso degli ammortizzatori sociali ha sempre un impatto economico e sociale, poi la chiamiamo cassa integrazione per crisi ma dovremmo usare un’altra definizione. Siamo dentro una turbolenza dalla velocità incredibile, una mutazione tecnologica, di modello e competenze che non colpisce tutti allo stesso modo. Abbiamo bisogno di fare un’operazione ponte. Prima di tutto occorre che il governo rifinanzi la cassa integrazione, compresa quella in deroga per artigiani e pmi».

Il vicepresidente della Regione e assessore allo Sviluppo economico, Vincenzo Colla, aveva detto in tempi non sospetti che l’inizio d’anno sarebbe stato assai complicato. Non solo le diverse crisi aziendali, l’export in calo e lo stallo sull’occupazione. L’ultima Cassandra è il contatore di Cgil e Uil: nel 2024 in regione sono state autorizzate 60,5 milioni di ore di cassa integrazione, oltre 21 milioni in più (+54,7%) del 2023 . 




















































L’andamento è a macchia di leopardo, la crisi colpisce in modo diverso, diversi settori. «La filiera della moda ha tante imprese e lavoro — dice Colla —. Lì la cassa integrazione in deroga non basta, lo ribadiremo anche il 7 febbraio all’incontro al ministero che abbiamo ottenuto».

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Ma questa, come detto, non è una congiuntura orizzontale. «Se prendo l’automotive, quella non è una crisi, ma un cambiamento di modello, è in corso una grande trasformazione tecnologica — aggiunge l’assessore —. Va bene usare la cassa integrazione, ma senza pianificare investimenti e futuro delle imprese non riusciamo a reggere. Gli strumenti difensivi da soli non bastano». 

Immaginare una soluzione locale sarebbe ingenuo. Le difficoltà dell’economia della via Emilia sono collegate in primis alla stagnazione tedesca. «Quando la Germania ha un raffreddore, noi prendiamo la polmonite, siamo iper-connessi. Non solo sull’automotive ma anche sui consumi, pensiamo alla filiera del cibo».

In Regione «facciamo 200 miliardi di Pil, 30 miliardi di valore aggiunto, però abbiamo il 50% di export. È evidente che quello che avviene nel mondo, in Europa, arriva a casa nostra. I dazi Usa sarebbero una bella botta». Questo è lo scenario nel quale ci muoviamo. «Abbiamo bisogno di una strategia non per uscire dalla crisi, ma per stare dentro il cambiamento e creare lavoro. In alcuni settori li perderemo ma in altri li guadagneremo, penso al digitale».

L’ultimo esempio è la Marelli, simbolo del disimpegno della vecchia Fiat. «Per fortuna è arrivato un imprenditore che ha spostato la produzione sulla componentistica di fusione in alluminio che aumenterà con l’elettrico, solo con l’endotermico non c’era futuro». In ogni caso, dice Colla, la dimensione dell’Emilia-Romagna resta l’Europa.

«Stiamo discutendo del Green deal per il 2035 , ma il problema è il cambiamento nei prossimi 3/4 anni. Serve un investimento di grande portata nelle filiere strategiche, se non vogliamo diventare contoterzisti poveri di Usa e Asia. Draghi dice 800 miliardi di investimenti all’anno, vanno bene anche 500 miliardi poi voglio vedere in questo parlamento europeo chi li vota…».

Poi c’è il tema della finanza: «Serve una nuova partnership tra pubblico e privato. Se in banca si accende solo la luce della Centrale rischi non è sufficiente neanche la cassa integrazione. Abbiamo bisogno di una finanza paziente».

Poi la crisi non è uguale da settore a settore, ma nemmeno tra le città. «Abbiamo un tapis roulant che è la via Emilia dove si corre, dobbiamo fare le scale mobili verso le aree collinari, la Bassa, il Ferrarese che ha indicatori molto difficili. Serve un’idea nuova di ricucitura territoriale. Le Zone logistiche semplificate, i bandi a favore di quelle aree. Gli effetti si vedranno nel tempo, ma abbiamo bisogno di accelerare».

Da riformista c’è da essere più ottimisti o preoccupati?. «I riformisti non hanno tempo di essere ottimisti o preoccupati, il punto è posizionare traiettorie che devono diventare fatti, le analisi e il racconto non bastano. Poi ai riformisti si dà ragione dieci anni dopo. I conservatori sono mensili perché c’è sempre una campagna elettorale da fare».

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