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cosa ci racconta la gita low cost a Roccaraso


I pullman di visitatori che hanno intasato la località sciistica abruzzese hanno suscitato reazioni di stigmatizzazione sui social fortemente classista. E hanno fatto emergere contraddizioni profonde, che nessuno sembra aver voglia di sanare

Domenica scorsa migliaia di visitatori, molti partiti da Napoli con pullman a prezzi stracciati, hanno riempito Roccaraso, la località sciistica in Abruzzo, per una gita di un giorno. Questo ha provocato ingorghi stradali, sovraffollamento delle piste e disagi per i residenti.

Non è un fenomeno nuovo, e si ripeterà, ma la magnitudine degli arrivi (che alcuni hanno definito, con disprezzo, invasioni barbariche) stavolta ha catturato l’attenzione. Attirati dalla promozione di alcuni influencer, e dalla promessa di passare la giornata col proprio tiktoker preferito, i turisti low cost sono giunti in massa, talvolta senza adeguata preparazione, usando sacchetti di plastica come slittini e occupando massicciamente i prati innevati (pubblici) per fare dei picnic (l’audacia!).

Il caos ha spinto le amministrazioni locali a introdurre limitazioni ai pullman. Ma soprattutto ha rivelato tensioni sociali, divergenze di classe e problemi culturali assortiti.

Il ruolo degli influencer

Da un lato, è evidente che l’arrivo di migliaia di persone in un luogo piccolo causi problemi pratici e danni ambientali. La preoccupazione dei residenti è comprensibile. Dall’altro, la reazione fortemente negativa e carica di stigmatizzazioni (osservabile sui social e in alcune dichiarazioni politiche) tradisce snobismo e classismo. Il turismo low cost è considerato di serie B, un magma popolato da maleducati che arrivano in pullman, spendono poco, non arricchiscono nessuno e non sanno comportarsi.

Naturalmente è impossibile ignorare il ruolo degli influencer nel promuovere questo tipo di turismo. Sfruttando la notorietà, e guadagnandoci, da tempo spingono schiere di follower a seguire le loro indicazioni sulle destinazioni e le modalità di svago. I turisti ipnotizzati diventano vere e proprie pedine al servizio di una sfida: «Vediamo cosa riusciamo a combinare, siamo tantissimi!».

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Qualcosa che va oltre il semplice godimento di una gita, qualcosa che dà ulteriore visibilità a personaggi che forse sarebbe meglio restassero sconosciuti. Ma siamo sicuri che come sempre basti ridurre il tutto a «è colpa dei social, la gente è ignorante»?

Siamo sicuri che il tema sia questo? Anche perché parliamo di influencer che si rivolgono a chi i soldi non ce li ha. Proprio così, ci sono gli influencer dei poveri e quelli dei ricchi. Il tema, se scavi un po’, è la classe sociale.

Polarizzazioni montane

La montagna come esperienza esclusiva è un argomento profondo e annoso che attraversa la nostra cultura, un pilastro della nostra problematica civiltà, basta recuperare Fantozzi e l’indimenticabile «sono stato azzurro di sci». Lo sci è associato a un turismo di fascia medio-alta, sia per i costi, sia per l’immagine.

In questo senso «l’invasione di Roccaraso» mostra le disuguaglianze, anche se naturalmente non c’è nessuna rivoluzione in atto: non è che le persone siano andate in massa in montagna per fare un sit-in di protesta contro il sistema, e dubito che sarebbero interessate a farlo. Semplicemente la tensione emerge dai fatti e dalla realtà dei desideri umani che irrompe in maniera disordinata occupando gli spazi. Chi ha meno soldi non intende rinunciare a una giornata sulla neve, perché la neve è bella e piace, come il mare, e perché forse si è stufi di guardare i ricchi e i famosi che fanno cose che tu non puoi fare.

Datemi un motivo per cui i poveri dovrebbero rinunciare a una gita in montagna. Al di là della critica (logica, ma superficiale) ai meccanismi massificanti degli influencer, è difficile trovare motivazioni non classiste per dire che dovrebbero astenersi.

Servirebbero strategie organizzative inclusive, ma mancano, e sempre mancheranno, perché non le metti in piedi dalla mattina alla sera, richiedono una costruzione di lungo termine. Richiedono di rifondare la società. Però viviamo in un tempo in cui la parola “inclusivo” ti fa bollare come una brutta comunista woke. Non esiste che tu possa pensare in termini di giustizia solo perché intellettualmente ed esteticamente sei giunta a certe conclusioni.

La montagna è un bene collettivo o appartiene solo a chi può pagare? I soldi sono l’unica forma di organizzazione sociale possibile, ormai? Le domande sono sempre queste. Che noia. Le risposte sono facili: sì, oggi i soldi sono l’unica forma organizzativa. Sono misurabili e non li contesta nessuno.

Peccato rendano la società polarizzata, ma del resto i numeri creano classifiche. Pazienza. Le cause profonde, alla fine, non interessano ai ricchi, e a volte sembra non interessino neanche ai poveri (e questa sì che è fragilità). Si vive in uno splendido presente. La colazione è inclusa nel prezzo.

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