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Politica e industria della difesa in Europa. Conflitti di interesse, corruzione, alleanze strategiche e reciproci vantaggi economici. Il caso Sapienza (Aurelio Tarquini)


L’Università La Sapienza di Roma è legata da accordi di collaborazione con università israeliane, come il Technion di Haifa, e aziende legate alla produzione bellica, inclusa la Fondazione Med-Or, affiliata a Leonardo (azienda italiana della difesa). Gli studenti, in particolare quelli di Cambiare Rotta, denunciano il coinvolgimento dell’ateneo in progetti finalizzati alla ricerca militare e nello sviluppo di armamenti. In particolare, questi accordi sono legati a programmi finanziati attraverso bandi come il MAECI Italia-Israele, che scade ad aprile 2024.

Le proteste includono l’occupazione del rettorato e richieste di dimissioni della rettrice Antonella Polimeni dal comitato tecnico-scientifico della Fondazione Med-Or. Gli studenti sottolineano che altre università italiane, come Torino e Bari, hanno già scelto di non aderire a simili collaborazioni, e chiedono che anche La Sapienza segua lo stesso percorso. La rettrice, pur ribadendo la disponibilità al dialogo, difende la legittimità degli accordi e condanna le azioni considerate violente o non democratiche da parte degli attivisti​
L’industria della difesa europea è un settore di grande potenza, non solo economica, ma anche politica, in grado di influenzare pesantemente le decisioni dei governi e delle istituzioni internazionali. Questa potenza è alimentata da un mix di alleanze strategiche, lobbying politico, e pratiche corruttive che spesso finiscono per danneggiare le finanze pubbliche e deviare risorse vitali per la società verso interessi privati. L’industria bellica europea, sotto l’egida di potenze come gli Stati Uniti e il Regno Unito, si alimenta di una complessa rete di decisioni politiche, contratti segreti e facilitatori che operano dietro le quinte, le cui pratiche spingono verso un continuo aumento delle spese militari, giustificate come necessità di difesa.

Il settore della difesa in Europa non si limita esclusivamente alla produzione di armi e sistemi bellici, ma coinvolge una vasta rete di intermediari, faccendieri e “facilitatori” (scelti anche tra parlamentari, europarlamentari e ministri dei Paesi membri dell’Unione Europea) che svolgono un ruolo cruciale nel collegare le aziende produttrici con i governi che stipulano i contratti.

Secondo i dati di Transparency International, queste figure guadagnano significative commissioni sulle transazioni, spesso tra il 5% e il 15% del valore totale dei contratti, ma in alcuni casi questa percentuale arriva fino al 20%. Tali operazioni sono spesso borderline per quanto riguarda la loro legalità ma la mancanza di trasparenza e il ricorso a intermediari che operano per conto di europarlamentari e ministri creano un terreno fertile per pratiche illegali, in particolare in mercati opachi o in zone di conflitto.

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Il fenomeno delle tangenti e dei pagamenti occulti non solo gonfia i costi degli armamenti, ma aumenta il rischio che i contratti vengano assegnati in base a interessi economici e politici piuttosto che sulla base delle reali necessità di difesa. Il conflitto in Ucraina ha messo in luce come l’elevato costo degli armamenti e la lentezza nella sostituzione delle forniture militari possono creare vulnerabilità nelle capacità difensive di un Paese. La NATO e l’Unione Europea, infatti, si trovano a fronteggiare non solo le sfide sul campo, ma anche la difficoltà di sostenere finanziariamente una guerra lunga e dispendiosa.

Secondo un rapporto di Transparency International Defence Security (TI-DS), i vari Ministeri della Difesa dell’Unione Europea sono particolarmente vulnerabili alla corruzione a causa della segretezza delle operazioni e della complessità delle transazioni. Spesso, i contratti militari includono ampie commissioni per “intermediari”, figure che agiscono come facilitatori ma che, in molti casi, possono essere canali per pratiche corruttive. Transparency International evidenzia come l’assenza di trasparenza e di controlli efficaci favorisca accordi opachi tra governi, aziende della difesa e intermediari, compromettendo il processo decisionale, il controllo parlamentare e indebolendo la sicurezza nazionale. Tali pratiche creano forze armate sotto preparate, spreco di fondi pubblici e trasferimenti illeciti di armi a contesti fragili o attori pericolosi come gruppi neonazisti e mafie europee.

Le industrie occidentali, inclusi giganti come Lockheed Martin, Boeing, Leonardo e Raytheon, beneficiano spesso di reti di lobby molto influenti che possono indirizzare vendite di armi grazie ai loro legami con governi e decisori chiave. Per esempio nei Paesi Bassi sotto la guida di Mark Rutte (attuale Segretario Generale della NATO), la firma di contratti significativi come quelli per i sistemi Patriot dagli Stati Uniti potrebbe aver incluso intermediari con incentivi significativi. A ciò si aggiungono collaborazioni con aziende israeliane nel settore della cyberdifesa, un settore noto per l’uso frequente di intermediari esperti per facilitare le vendite.

La CFR (Council on Foreign Relations) sottolinea come la struttura stessa dell’industria bellica occidentale favorisca l’uso di intermediari: i fornitori principali tendono a offrire incentivi economici o commissioni alla classe politica europea per penetrare nuovi mercati o assicurarsi commesse statali, soprattutto laddove i processi di approvvigionamento sono complessi. L’industria bellica usa anche media, politici di spicco e ministri della Difesa per favorire una propaganda tossica e insistente per far accettare all’opinione pubblica la necessità di aumentare la spesa per gli armamenti che va inevitabilmente a scapito dei cittadini Europei. Questo lavoro di propagamanda non si basa su convinzioni ideologiche e non é gratuito.

Transparency International e altre organizzazioni, come ENAAT (European Network Against Arms Trade), hanno segnalato come la complessità delle transazioni internazionali nel settore della difesa crei terreno fertile per commissioni nascoste e potenziali pratiche corruttive. Queste commissioni vengono spesso pagate a intermediari che facilitano la chiusura di accordi con governi stranieri, ma in alcuni casi si sospetta che fondi vadano anche a politici e funzionari governativi per garantire la preferenza verso determinate industrie. Ad esempio, i principali beneficiari di fondi europei per l’industria della difesa, come Leonardo, Thales e Airbus, sono stati accusati di essere coinvolti in controversie legate a corruzione e vendite di armi in aree problematiche o regimi autoritari. Tuttavia, in assenza di condanne definitive, queste società continuano a ricevere fondi pubblici europei e a operare in un quadro legale apparentemente legittimo.

Le accuse di corruzione nell’industria della difesa sono aggravate dalla mancanza di trasparenza e da conflitti di interesse nelle politiche di finanziamento pubblico. Ad esempio, programmi europei come l’EDIDP e il Fondo europeo per la difesa sono stati criticati per favorire proprio queste aziende, senza un controllo adeguato sulla destinazione dei fondi e sul rischio di pratiche corruttive. La segretezza che circonda i contratti nel settore della difesa e la mancanza di regolamentazioni stringenti sulle pratiche di lobbying e sulle decisioni politiche rende particolarmente vulnerabili questi contratti alla corruzione. Una delle problematiche più gravi è la mancanza di trasparenza nelle assegnazioni dei contratti, che spesso vengono decisi senza un adeguato monitoraggio pubblico e senza una chiara rendicontazione dei fondi spesi.

Molte aziende europee della difesa, come Leonardo, Thales e Airbus, sono state al centro di scandali legati a corruzione, tangenti e pratiche discutibili per ottenere contratti governativi. In Italia, ad esempio, l’azienda Leonardo è stata coinvolta in scandali legati a tangenti in vari Paesi, tra cui l’India, dove nel 2014 è stato scoperto un giro di tangenti che coinvolgeva l’acquisto di elicotteri VIP. Analogamente, in paesi come la Korea del Sud, le aziende di difesa europee sono state accusate di corruzione, dove politiche e funzionari locali sono stati influenzati da intermediari per facilitare l’acquisizione di armamenti.

La mancanza di trasparenza in Italia è stata ripetutamente denunciata dalle ONG e dalle agenzie internazionali. Nonostante l’esistenza della legge 185/90, che stabilisce i criteri di esportazione di armi, il suo rispetto non è sempre rigorosamente applicato. Questo consente a molte aziende di approfittare di una regolamentazione debole, che favorisce l’assegnazione di contratti a condizioni poco chiare e spesso poco vantaggiose per la collettività.

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Le grandi aziende di difesa, tra cui Lockheed Martin, Boeing, Raytheon, e General Dynamics, sono protagoniste di un altro aspetto significativo del settore bellico europeo. Questi colossi globali non solo producono armamenti e sistemi di difesa per i Paesi membri della NATO, ma gestiscono anche una rete di alleanze strategiche, che include sia i Paesi europei che altre potenze, come Israele. Queste alleanze sono spesso basate su contratti che, oltre ad arricchire le aziende coinvolte, permettono a Paesi come gli Stati Uniti e Israele di mantenere una posizione dominante sul mercato globale delle armi.

Nel caso specifico della NATO, la vendita di armamenti è spesso accompagnata da politiche di cooperazione che prevedono l’integrazione di sistemi di difesa avanzati nei Paesi membri. Le aziende coinvolte in questo processo, come Raytheon e Lockheed Martin, forniscono non solo armamenti, ma anche tecnologie avanzate per la cybersicurezza e per la difesa spaziale. Un esempio emblematico di queste alleanze strategiche è il contratto siglato tra i Paesi Bassi e la NATO per l’acquisizione dei sistemi Patriot, un sistema avanzato di difesa missilistica. La gestione di questi contratti è stata criticata per la sua opacità e per il coinvolgimento di intermediari che hanno guadagnato ingenti somme.

L’influenza delle grandi aziende di difesa nella politica internazionale è un tema che spesso solleva preoccupazioni riguardo ai conflitti di interesse. Politici e funzionari pubblici, attraverso i loro legami con l’industria bellica, contribuiscono direttamente a giustificare l’aumento della spesa per la difesa e a promuovere la produzione di armi in quantità sempre maggiore. In Italia, ad esempio, il Ministro della Difesa, Guido Crosetto, è stato criticato per il suo passato da fondatore e rappresentante dell’AIAD (Associazione delle Industrie per l’Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza). Crosetto ha legami diretti con alcune delle più grandi aziende della difesa, come Leonardo e Thales, e la sua nomina a Ministro ha alimentato il sospetto che i suoi legami preesistenti possano influenzare le politiche di acquisto del governo.

L’indagine condotta da Transparency International, insieme all’Osservatorio Mil€x e alla Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti Civili (CILD), ha messo in luce diverse criticità legate al settore della difesa in Italia, evidenziando come sia vulnerabile a corruzione, influenze illecite e spreco di risorse pubbliche.

Le industrie della difesa godono di un accesso privilegiato ai decisori politici senza un quadro normativo chiaro che regoli queste interazioni. L’assenza in Italia di un registro obbligatorio dei lobbisti e di un tracciamento delle decisioni legislative (legislative footprint) permette pressioni nascoste per orientare l’assegnazione di contratti militari.

Il fenomeno delle “porte girevoli” tra ruoli pubblici e posizioni in aziende private del settore difesa è particolarmente diffuso in Italia. Ex ministri, militari di alto livello passano in posizioni dirigenziali nelle industrie belliche così come dirigenti dell’industria bellica passano in posizioni governative, favorendo conflitti di interesse sistemici.

L’influenza sproporzionata delle aziende di armamenti può tradursi in decisioni pubbliche guidate da interessi privati, con scarsa attenzione ai reali bisogni della sicurezza nazionale. Transparency sottolinea che spesso tali contratti mancano di pianificazione finanziaria a lungo termine, con il rischio di assegnazioni opache. Il budget militare italiano risulta in crescita costante, ma con scarsa supervisione. I report indicano che le decisioni relative agli approvvigionamenti avvengono in maniera frammentata e opaca, con un insufficiente controllo da parte della società civile.

La crescente espansione della NATO e le sue politiche di aumento delle spese per la difesa sono fortemente sostenute da questi colossi industriali, che trovano in queste politiche un terreno fertile per incrementare i loro guadagni. La creazione di un nemico comune, come la Russia, è stata sfruttata per giustificare la necessità di potenziare continuamente le capacità militari, alimentando la paura e rafforzando il sostegno pubblico a queste politiche.

L’industria bellica europea ha sviluppato una strategia comunicativa particolarmente efficace per giustificare l’aumento delle spese militari, spesso a scapito di settori cruciali come la sanità, l’istruzione, i servizi sociali e le infrastrutture. Questa strategia si concentra sulla costruzione di un “nemico assoluto”, rappresentato dalla Russia, e utilizza tecniche di manipolazione psicologica per creare puro terrore nella popolazione e giustificare spese militari sempre crescenti. Una delle strategie principali impiegate è la creazione di una narrativa che esagera le minacce provenienti dalla Russia, dipingendola come un pericolo imminente per l’intera Europa.

Secondo questa narrazione, le forze armate russe sarebbero in grado di invadere l’Europa se non si rafforzasse immediatamente la NATO. La ripetizione ossessiva di questo messaggio attraverso media, politici e ministri, diventa una forma di terrorismo psicologico, in cui le paure inesistenti vengono fatte sembrare reali. La ripetizione incessante di questi messaggi, da più fonti, crea un ambiente in cui il pericolo percepito diventa, per osmosi, una realtà condivisa. Questo approccio, che richiama le tecniche di propaganda del nazista Goebbels, è essenziale per legittimare gli enormi aumenti delle spese militari.

L’aumento sproporzionato delle spese per la difesa porta a un aumento del debito pubblico, aggravando le crisi economiche già in atto in vari paesi europei. In molti casi, la crescita delle spese militari avviene a scapito della qualità della vita dei cittadini, con tagli a servizi essenziali che influenzano negativamente il benessere economico delle popolazioni. L’industria bellica ha, quindi, un impatto diretto sulla vita quotidiana dei cittadini, facendo lievitare il costo della vita e riducendo il tenore di vita.

Le alleanze strategiche tra le aziende belliche, parlamentari, europarlamentari, ministri e governi sono essenziali per comprendere come le politiche di guerra e difesa possano avere un impatto negativo sulle finanze pubbliche. In molte situazioni, i governi hanno deciso di aumentare la spesa per la difesa, senza una vera analisi dei benefici a lungo termine, in risposta alla pressione delle grandi aziende di difesa, che fanno leva sulla sicurezza nazionale e sull’influenza che esercitano nei circoli politici. In Italia mancanza di questa necessaria analisi é endemica in tutte le decisioni di aumento della spesa per la difesa diventando una caratteristica comune degli ultimi 4 governi che si sono succeduti nel Paese.

Nel contesto della guerra in Ucraina, l’Europa ha aumentato in modo significativo gli investimenti in armamenti, spingendo i governi ad accettare contratti con prezzi gonfiati e con intermediari che spesso non rispettano gli standard di trasparenza. Non solo le risorse pubbliche sono state allocate per sostenere una guerra persa in partenza che sta creando forti rischi alla sicurezza internazionale e devastando le economie dei Paesi europei, ma molte delle forniture di armamenti sono state accompagnate da commissioni occulte che hanno arricchito intermediari e aziende, allontanando così i fondi destinati ad altri settori vitali per la società.

L’industria della difesa in Europa è quindi fortemente influenzata da una rete di conflitti di interesse e di complicità tra politici, ministri, funzionari pubblici e colossi industriali. Le politiche di difesa sono spesso plasmate da queste alleanze, che contribuiscono a mantenere un sistema in cui le risorse pubbliche vengono indirizzate verso il potenziamento delle capacità belliche, a scapito di altri settori. La mancanza di trasparenza nelle procedure di acquisto e il controllo limitato delle operazioni del settore pubblico in ambito difesa perpetuano questo sistema di corruzione e di conflitti di interesse.

Il sistema dell’industria della difesa in Europa è costruito su pratiche opache e su un circolo vizioso di corruzione e conflitti di interesse che minano le capacità di governo democratico. Le alleanze strategiche tra i governi e le aziende della difesa non solo rafforzano la loro posizione economica e politica, ma creano anche una distorsione delle priorità politiche e sociali. La crescente pressione per l’aumento delle spese militari, giustificato da una narrativa di paura, favorisce un sistema che arricchisce pochi mentre drena risorse vitali per le politiche sociali e per lo sviluppo delle infrastrutture pubbliche. É giunto il momento di fermare questa perversione e i suoi principali attori.

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Quanto alla Leonardo, dopo aver dichiarato che ogni esportazione di armamenti era stata sospesa il 7 ottobre e dopo aver rettificato, di fronte alle evidenze giornalistiche, spiegando che le spedizioni effettuate facevano parte di casi valutati singolarmente, dall’inchiesta pubblicata nel numero di ottobre di Altreconomia emerge che non è stata congelata alcuna fornitura, come dichiarato invece dai ministri Crosetto e Tajani, e Leonardo ha continuato a vendere i propri prodotti allo Stato ebraico, nonostante i bombardamenti a Gaza vadano avanti in maniera incessante, l’apertura di un nuovo fronte di guerra in Libano e le operazioni “mirate” in Yemen, Cisgiordania e Iran.

Aurelio Tarquini



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