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Fossili e Rinnovabili: un’opzione esclude l’altra?


Marsiglia, Federpetroli: «È necessario stabilire una strategia coerente al fabbisogno del Paese»

La recente vicenda giudiziaria che ha visto protagonisti Shell, colosso dell’industria petrolifera, e gruppi di ambientalisti olandesi offre uno spunto di riflessione interessante nel contesto dei rapporti tra produttori di energie combustibili fossili e transizione ecologica. La Corte dell’Aia ha recentemente annullato il giudizio espresso in primo grado nel 2021, che obbligava la multinazionale britannica a ridurre del 45% le emissioni di CO2 entro il 2030. La causa era stata intentata dal gruppo FOEI (Friends of the Earth International). «La vicenda Shell ci fa comprendere che una transizione è certamente necessaria, ma che debba anche essere pianificata cooperando globalmente e istaurando un dibattito costruttivo» dice Michele Marsiglia, Presidente di FederPetroli Italia – «L’86% del fabbisogno energetico mondiale risulta ancora derivante da fonti di combustibile fossile».

Di recente la Shell ha vinto una causa contro gruppi di ambientalisti olandesi: in che modo questa vicenda influisce sulle dinamiche del mondo dell’energia fossile?

«Già in occasione del giudizio di primo grado erano sopraggiunte delle perplessità nell’ambito economico-finanziario che gestisce la distribuzione e i consumi derivanti dall’Industria Oil&Gas. Alle perplessità, si sono aggiunte le riflessioni che hanno portato Shell al ricorso, chiuso e vinto poco tempo fa. È un segnale importante per il mondo dell’energia combustibile fossile: innanzitutto perché la Corte dell’Aia ha dimostrato, dando ragione a Shell, che imposizioni di percentuali e di misure contro le emissioni non possono essere deliberatamente decise dagli attivisti. In secondo luogo, perché conflittualità superficiali possono essere controproducenti allo scopo finale. Transizione Green si, ma con criterio e coerenza. Un colosso petrolifero, come dice la corte stessa, deve rispettare misure istituzionali, sancite da organizzazioni statali e governative, come peraltro già sta facendo. Ci sono vari piani di investimento, già in atto, che conducono a una diminuzione drastica delle emissioni. Basti pensare che Shell, come ogni compagnia grande o piccola del comparto petrolifero, ha stabilito come termine improrogabile il 2050 per l’obiettivo delle emissioni zero. La sentenza stabilisce non la completa autonomia di Shell ad autoregolarsi, ma l’esistenza di misure già in atto, che non possono sommarsi a quelle nate dalle proteste di gruppi ambientalisti. A tal proposito, è necessario riformulare un dialogo costruttivo, negli interessi di tutte le parti. Una criminalizzazione delle aziende petrolifere rischia di sfavorire una fetta di Mercato che è ancora fondamentale per l’economia mondiale. Purtroppo, esiste una contraddizione tra la velocità con cui si dice di dover attuare una transizione Green e l’effettivo bisogno, ancora enorme, di risorse fossili. Dunque, sì a una prospettiva che sia ecosostenibile, ma con criterio: ci deve essere coerenza e franchezza nell’ammettere che l’industria petrolifera deve avanzare a piccoli passi verso l’abbattimento totale delle emissioni e non precipitosamente – questo rischierebbe di compromettere globalmente un settore economico ancora indispensabile».

In che modo si sta operando per realizzare gli obiettivi prefissati per la transizione ecologica?

«In primis, è indispensabile che questo venga pensato in modo globale: ogni industria e ogni Stato deve poter partecipare ad una linea condivisa e condivisibile. Non bisogna lasciarsi influenzare da un linguaggio spesso usato in modo demagogico su questo tema. Demonizzare l’Industria petrolifera e avviare un conflitto tra “buoni e cattivi” non è una soluzione saggia. Come detto, le grandi multinazionali e le piccole imprese stanno ripensando il comparto infrastrutturale da tempo. Ad esempio, lavorano per garantire emissioni sempre più basse. L’avanzamento tecnologico contribuisce a migliorare e implementare le strutture esistenti. Questo processo coinvolge ogni fase, dall’estrazione mineraria fino alla distribuzione. Gli investimenti in questa direzione sono ingenti e significativi. Tuttavia, iniziare a pensare ad una transizione Green senza osservare il contesto attorno è svantaggioso. Il punto è che, per esempio, lo scenario internazionale sempre più conflittuale ed instabile, ovviamente ha una ricaduta sulle misure che si erano prefissate. Molti giacimenti in Medio-Oriente e Africa sono costantemente economicamente fluttuanti per ragioni belliche. Consideriamo il conflitto russo-ucraino: chi non ha sentito parlare del gas proveniente dalla Russia? Questo era un tema dibattuto eppure, in ottica di transizione Green, ignorato. In quel momento storico preciso, dagli Stati e dalle Organizzazioni di vario genere, l’input è stato quello di riaprire centrali a carbone, intensificare produzione di energie fossili, ripensare al nucleare, pensiamo alla Francia per esempio. Insomma, pretende di decidere a tavolino e non rendersi conto della situazione circostante è fuorviante e ingannevole. Bisogna informare le persone e far capire loro che una transizione è possibile solo se si riesce a declinarlo al contesto economico-sociale in cui ci troviamo. Ricordare che l’idrocarburo rappresenta oggi circa l’86% del fabbisogno energetico è doveroso per iniziare a riflettere in modo costruttivo a un futuro dell’Industria ecosostenibile ma funzionale».

Che effetto avrà la sentenza su coloro che vogliono investire nei Mercati del combustibile fossile?

«Potrebbe avere effetti positivi sugli investitori che, invece, da qualche tempo erano più scettici. A causa delle tassazioni degli scorsi anni, alcune compagnie petrolifere hanno subito pressioni legislative significative. Queste tassazioni, emanate dalle autorità legislative, hanno avuto conseguenze rilevanti. Alcuni investitori avevano desistito o si stavano progressivamente allontanando dalle Azioni di queste compagnie. L’immaginario collettivo, che ruota intorno all’industria del petrolio, contribuisce ulteriormente a questa situazione. Come dicevo, tende a demonizzare il settore e talvolta scoraggia gli investimenti. Tuttavia, il settore petrolifero resta sano e ancora molto forte. Nel caso specifico della sentenza Shell, basti osservare la quotazione dei Titoli della multinazionale a Londra, saliti vertiginosamente».

Avviarsi verso un’Industria ecosostenibile è necessario: il dibattito tra compagnie petrolifere, cittadini e ambientalisti come può avvenire per favorire un cambiamento concreto?

«Rispondo portando immediatamente un esempio di impegno reale in tal senso: le cito l’operazione trasparenza avviata una decina di anni fa da FederPetroli in Basilicata. Quando ci occupiamo di realizzare pozzi d’estrazione, lo facciamo in zone più rurali e questo ci porta a contatto con le persone che abitano determinati luoghi. Nell’interesse di ognuno, dei cittadini innanzitutto, abbiamo iniziato una campagna di sensibilizzazione che potesse svelare alle persone, più che alle aziende e alle istituzioni, i pro e i contro di operazioni condotte da compagnie petrolifere. Il risultato? Anche coloro che non hanno mai avuto a che fare con il settore hanno potuto documentarsi e sviluppare un’opinione personale, concentrandosi su impatti ambientali e risvolti occupazionali. Per avviare un cambiamento serio e concreto, nell’interesse di tutti, è necessario un linguaggio diverso – meno retorico, per niente demagogico, ma reale e fattuale. Non bisogna nascondere i difetti di un’industria sicuramente invasiva, ma farne capire la necessità nell’economia globale è doveroso, anche perché manovre di riduzione degli impatti sono da decenni in atto e stanno ora dando i loro frutti. Un mea culpa va fatto e parlando a nome di un comparto esteso posso dire che 20 anni fa questo tipo di comunicazione più trasparente e chiara su cosa fosse e cosa facesse un’azienda petrolifera non è stata avviata. Ora ne stiamo pagando lo scotto, ma siamo, al contrario dei decenni passati, consapevoli e pronti a sensibilizzare sui benefici e gli svantaggi. Solo così, con trasparenza e sincerità, potremo instaurare un dialogo efficace e produttivo con i cittadini e le forze ambientaliste».

Fare una buona comunicazione è sufficiente?

«Parlare e comunicare, attraverso ogni mezzo possibile, è il primo passo per portarsi in una posizione di cambiamento efficace. Evidentemente, alla comunicazione devono seguire delle manovre ben salde e strutturate che garantiscano un cammino comune. Imporre misure eccessivamente restrittive ad un’unica azienda nel breve termine, come è il caso di Shell, porterebbe a una penalizzazione univoca, lasciando un vuoto che verrebbe riempito immediatamente da un altro competitor. Per questo le proteste, seppur costruttive, non devono imporre cambiamenti di rotta repentini – per lo meno non in un settore che ha bisogno di tempistiche dilatate. Ma attenzione: le tempistiche non sono da imputare all’arbitrio di chi gestisce questo settore, ma al fabbisogno delle risorse prodotte. Come accennato, oggi l’86% delle energie si muove su base fossile ed è impensabile eliminarla del tutto. Pretendere di cambiare in un decennio una rotta così sostanziale è controproducente. Informare, quindi, i consumatori e i cittadini, dire loro che l’Oil&Gas non può sparire in un decennio, è il primo passo per pensare un cambiamento che rispetti l’ambiente e tenga conto del contesto socio-economico globale».

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Quanto influisce l’avanzamento dell’elettrico nell’industria del petrolio?

«Parlare di elettrico in relazione univoca con la produzione petrolifera è riduttivo e forse una chiave di lettura troppo schematica. Non rappresenta un Mercato competitivo univoco: le aziende petrolifere si occupano di tante sezioni di Mercato diverse e non solo dell’automotive. In ogni caso, non c’è ragione di parlare dell’elettrico come un Mercato che può scalzare quello delle energie combustibili. In rapporto all’industria di idrocarburi e fossili, si muove su una base ancora infinitamente minore dal punto di vista economico. Dipenderà, ovviamente, anche dell’uso che si farà delle risorse fossili: la famosa curva di Hubbert, teorico peraltro della Shell, teorizzata poco meno di 100 anni fa, parlava di un abbassamento vertiginoso della disponibilità delle risorse. Non è proprio così, esistono ancora territori potenzialmente densi di risorse fossili. Tutto sta nel non eccedere con l’estrazione e regolamentare la distribuzione. Non sfruttare in modo coatto le risorse è il primo passo per riportare il meccanismo di produzione e distribuzione petrolifera in linea con gli obiettivi di ecosostenibilità».

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📷 Credits: Canva Pro, Unsplash





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