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Malgrado guerra e sanzioni, i russi non riescono a fare a meno di vino e moda italiani


Con l’uscita dei dati (provvisori) dell’Istat sull’interscambio commerciale tra Italia e Russia per il 2024 emerge con chiarezza che l’Italia sta facendo pagare alla Russia un conto salato per la guerra all’Ucraina. Infatti, la Russia è passata da un avanzo commerciale di 11 miliardi di euro del 2021 (l’ultimo anno prima del conflitto), che era diventato addirittura di 20 miliardi nel 2022, complice l’esplosione delle quotazioni delle materie prime energetiche, ad un disavanzo (e quindi ad un avanzo per l’Italia) di 540 milioni di euro nel 2023 e di 790 milioni per l’intero 2024.

Vale la pena ricordare che il deficit commerciale dell’Italia nei confronti della Federazione russa era strutturale, tanto che nei 30 anni successivi al 1992 (primo anno con dati sullo scambio commerciale) non vi era stato neppure un anno in cui l’Italia fosse anche vicina ad un saldo commerciale in pareggio.

Ma come si è arrivati a questa inversione di tendenza nel commercio tra Italia e Federazione Russa?

Innanzitutto va detto che il cambiamento dei rapporti di forza commerciale sono dovuti al crollo delle esportazioni russe verso l’Italia, ed in secondo luogo che il surplus italiano (o il deficit russo) negli scambi ha avuto luogo già nel 2023, che si può considerare l’anno della svolta, e si è rafforzato nel 2024.

In effetti le esportazioni della Russia verso il Bel Paese, che erano prima cresciute dai 18,6 miliardi di euro del 2021 ai 24,9 mld del 2022 (Vladimir si era illuso?), ma solo in conseguenza della forte crescita del prezzo del gas, sono poi scese vertiginosamente a 3,7 mld nel 2023, e quindi a 2,9 nel 2024 (dato però limitato ai primi 10 mesi dell’anno, ed è quindi possibile che il dato per l’intero 2024 non si allontani molto da quello dell’anno precedente).

Insomma nel 2023 e nel 2024 l’export della Russia in Italia è stato intorno a 1/7 o a 1/8 di quello registrato 1-2 anni prima (2022).

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Dunque l’Italia si è effettivamente sganciata dalla Russia, soprattutto sul versante delle materie prime energetiche.

Sono i dati dell’Istat a confermarlo: se nel 2021 l’Italia importava 14,4 mld di euro di materie prime energetiche per un totale di 34,8 milioni di tonnellate di petrolio, carbone, gas, nel 2022 il nostro Paese ne acquistava per 23,3 mld di euro (+61,8% in valore rispetto all’anno precedente), ma per un totale di 25,3 milioni di tonnellate di prodotti energetici (-27,3% in quantità).

Insomma si importava di meno, ma ad un prezzo molto più alto, per cui, di fatto, l’Italia si è trovata nella spiacevole situazione involontaria di finanziare generosamente il regime putiniano proprio nell’anno dell’invasione russa dell’Ucraina.

Nel 2023, invece, sia il valore, che la quantità di materie prime energetiche comprate in Russia da operatori italiani, sono andati in picchiata, scendendo a 1,6 mld di euro in valore, e a 2,2 milioni di tonnellate, che rappresentano meno del 10% dei numeri dell’anno precedente.

Stranamente, però, nel 2024 (o meglio, nei primi 10 mesi del 2024), vi è stata un’inversione di tendenza negli acquisti italici di petrolio, gas e carbone russo, per cui in 10 mesi si è già pagato, con 1,7 miliardi di euro, più dell’intero 2023, e soprattutto si è acquistato in quantità il 50% in più di prodotti energetici russi, essendo stati contabilizzati (in 10 mesi) in entrata nel nostro paese già 3,4 milioni di tonnellate di idrocarburi Made in Russia.

Viene spontaneo chiedersi se qualche importatore italiano non stia facendo extra-guadagni, pagando meno petrolio e gas russo (rispetto ai prezzi di mercato), e quindi acquistandone di più, in barba all’impegno dell’Ue di sganciarsi del tutto dalle forniture russe.

Ma al di là di questi limitati incrementi di import energetico russo nella penisola nel corso del 2024, va riconosciuto che sul fronte dell’export italiano diretto a Mosca e dintorni, il trend, pur se in diminuzione rispetto al 2021, non è stato così negativo, come invece ci si poteva dopotutto aspettare.

In effetti l’export italiano è passato dai 7,7 miliardi di euro del 2021, ai 5,8 mld del 2022, per scendere ancora a 4,6 mld nel 2023, e quindi a 3,6 mld nei primi 10 mesi del 2024.

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In pratica il nostro export verso la Federazione russa si è dimezzato in 3 anni, ma l’import nello stesso periodo si è ridotto di quasi 8 volte, circostanza che spiega il saldo commerciale positivo per il nostro paese, che è tale da 2 anni.

Ma quali sono i prodotti italiani che ancora si vendono in Russia in modo significativo?

Scorrendo gli excel dell’Istat si scoprono i dati, che qui vengono riportati in modo aggregato nella tabella successiva, che riguardano solo alcuni dei settori principali.


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L’analisi dei dati della tabella suggerisce alcune osservazioni:

 

1) nel 2022 vi è stato un calo dell’export italiano in Russia in tutti i settori, con l’unica eccezione della cosmetica; è difficile dire se questo fenomeno sia stato dovuto alla rottura delle catene logistiche, o agli effetti delle prime sanzioni, oppure al blocco delle vendite in Russia in conseguenza di politiche “etiche” di alcune aziende italiane, o ancora per la minore propensione agli acquisti dei clienti russi, sia per il pessimismo dovuto alla guerra, sia per la sensibilità alla retorica del neozar Vladimir I contro i paesi “non amichevoli”, fra cui l’Italia;

2) per contro, nel 2023 i settori della moda (abbigliamento, calzature, prodotti in cuoio, cosmetica) hanno registrato un rimbalzo delle vendite, presumibilmente perché sono stati riorganizzati i percorsi logistici, e anche perché la moda italiana non è (ancora) facilmente sostituibile da quella cinese (né da quella russa), con buona pace del parere contrario della suprema guida russa;

3) premesso che i dati del 2024 sono riferiti solo ai primi 10 mesi, e quindi sono circa di un 15% inferiori al dato annuale, si constata comunque già una crescita sensibile nei comparti della farmaceutica, della cosmetica, e dei prodotti alcolici, sintomo che i russi non sono ancora molto convinti delle dichiarazioni autarchiche di Putin (es. beviamo il nostro vino!), e continuano a preferire diversi prodotti di paesi “non amichevoli”, quale il nostro, soprattutto per quanto concerne il benessere inteso in senso ampio;

4) i prodotti di largo consumo (cibo e bevande, abbigliamento e accessori), che costituiscono una componente importante del Made in Italy, hanno indubbiamente ancora un mercato a Mosca e dintorni;

5) pesante è invece la riduzione del business per il settore più importante dell’export italiano, ossia la meccanica, trattandosi di un mercato B2B, che quindi è più sensibile alle indicazioni delle autorità nazionali.

Insomma nell’ambito del confronto geopolitico (e pseudo-militare) tra Russia e l’Occidente, i dati degli scambi commerciali tra Italia e Puntinlandia dimostrano che è quest’ultima ad avere la peggio (almeno finora…).



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