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Caso Almasri, la destra non si ferma più: “Ora via l’obbligatorietà dell’azione penale”. M5s: “Così pm sotto il governo e politici impuniti”


Lo scontro tra politica e magistratura – e più esattamente tra il governo Meloni e le toghe – sembra solo all’inizio. Se finora la dialettica consueta si era consumata con la protesta plateale di pm e giudici all’inaugurazione dell’anno giudiziario contro la riforma della giustizia, il caso Almasri e l’iscrizione del nome della presidente del Consiglio nel registro degli indagati accelerano la velocità del dibattito. Fino a proposte finora inaudite. Secondo il capogruppo di Fratelli d’Italia Lucio Malan l’obbligatorietà dell’azione penale va affrontata nella riforma della giustizia ed eliminata. “A questo punto sì – risponde a una domanda di SkyTg24 – visto che nonostante la riforma Cartabia qualcuno continua a ritenere che si debba procedere alle indagini sempre e comunque”. Un tasto mai toccato finora anche perché – sotto il profilo formale – è un principio dettato in Costituzione (articolo 112) e poi perché si tratta di un presidio di tutela del principio di uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge: toglie la discrezionalità ai magistrati sull’apertura dei fascicoli d’inchiesta. Un punto molto delicato anche perché si lega tra l’altro alla riforma della giustizia che prevede un “doppio Csm” che – secondo la magistratura – porterebbe a procuratori capo di nomina più politica con la conseguenza di minore garanzia di affidabilità su certe inchieste e su certi temi.

“Alla fine l’hanno ammesso: governo e maggioranza vogliono mettere la magistratura, in particolare i pubblici ministeri, sotto il controllo della politica. Chi stabilirà quando e per quali reati si dovrà procedere? Naturalmente il ministero della Giustizia e la maggioranza politica del momento. Piano piano emerge alla luce del sole il vero piano del governo Meloni sulla giustizia. I cittadini possono prendere atto del fatto che intende cancellare la separazione dei poteri sancita dalla Costituzione e lasciare che politici e altri poteri forti possano rimanere impuniti”, affermano i rappresentanti del M5S nelle Commissioni Giustizia di Camera e Senato sottolineando come la scorsa settimana fosse stato respinto l’ordine del giorno pentastellato che impegnava il governo ad astenersi da qualsiasi iniziativa, legislativa e non, volta a indebolire o compromettere il principio della dipendenza funzionale della polizia giudiziaria dal pubblico ministero e il divieto di interferenza degli altri poteri nella conduzione delle indagini.

Ad accogliere favorevolmente la proposta di Malan è stata invece Italia Viva, seppur con nota polemica: “Se Malan dice il vero e Fratelli d’Italia è disposta a modificare la legge sulla separazione delle carriere eliminando l’obbligo di esercizio dell’azione penale, come noi abbiamo chiesto, ci fa piacere. Come sempre, rileviamo però l’uso personale, che FdI fa delle norme. Noi siamo contro l’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale perché lo reputiamo un principio sbagliato. Loro – garantisti a convenienza – perché in questo momento fa comodo”, ha spiegato la coordinatrice nazionale Raffaella Paita.

Tutto questo succede all’indomani di un nuovo attacco della premier Meloni alla magistratura: “Se vogliono governare, si candidino” ha detto in un’intervista pubblica a Nicola Porro. Come ha scritto il Fatto Quotidiano, in questo attacco concentrico che ha tra i suoi bersagli anche il procuratore di Roma Franco Lo Voi, i consiglieri laici dei centrodestra del Consiglio superiore della magistratura hanno chiesto al comitato di presidenza con un documento l’apertura di una pratica in prima Commissione per individuare “eventuali profili disciplinari, in relazione alle modalità e tempi” dell’iscrizione nel registro delle notizie di reato dei vertici di governo da parte di Lo Voi.

La premier, i ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi e il sottosegretario a Palazzo Chigi Alfredo Mantovano si preparano alla difesa “nel merito” dopo la trasmissione degli atti da parte della Procura di Roma al tribunale dei ministri. In mattinata Giulia Bongiorno, senatrice della Lega e avvocata incaricata dai quattro membri di governo, è stata a Palazzo Chigi per fare il punto della situazione. Non c’era Meloni ma c’era Mantovano. “Non ho dichiarazioni da fare, quando dovrò fare delle dichiarazioni le farò” dice Bongiorno. La legale ha preferito non rispondere alle domande sulla vicenda e neanche a chi le chiedeva una reazione ai dubbi sollevati dal Pd, secondo cui è “inopportuno” che da presidente della commissione Giustizia del Senato sia avvocato difensore della premier e altri componenti del governo. “Più avanti parleremo”, ha risposto Bongiorno: “Quando posso parlo, per adesso abbiamo scelto questo, in questo momento. Magari fra un’ora o fra un giorno vi parlerò. Devo fare ulteriori e poi parlo di tutto”.

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Il dibattito infiammato di queste ore ha anche un retroscena che risale al momento subito precedente al video pubblicato sui social con cui Meloni ha annunciato di essere indagata per il caso Almasri. Secondo le ricostruzioni dei giornali, confermate poi dal Quirinale, la premier ha informato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella di aver ricevuto la notifica della Procura di Roma. E’ accaduto martedì pomeriggio. Qualche ora prima Meloni e Mattarella si erano visti alle commemorazioni della Giornata della Memoria, ma la premier non sapeva ancora dell’atto dei pm. Da qui – dopo un confronto con il sottosegretario Mantovano – ha deciso di salire al Colle per informare il capo dello Stato che come noto è anche presidente del Consiglio superiore della magistratura. Vari giornali, peraltro, sottolineano il silenzio assoluto del presidente sullo scontro frontale tra il centrodestra e la magistratura.



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