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Ma dove vai se la casa sostenibile non ce l’hai




Immersa nel verde. Sostenibile e confortevole. Oasi di tranquillità. Gli slogan che accompagnano le offerte immobiliari ruotano attorno a tranquillizzanti messaggi che vantano rispetto per l’ambiente, risparmio energetico, costruzioni “green”. Ma è veramente così? «In effetti le cose sono molto cambiate rispetto agli anni ruggenti dell’edilizia di massa» nota Jessica Astolfi che, da professoressa al Politecnico di Milano e coordinatrice del Master in Real Estate Management, gode di una posizione privilegiata per osservare da vicino l’andamento del mercato e la qualità effettiva delle offerte che vi si incontrano.

«È avvenuto un deciso cambiamento culturale, che riguarda in particolare coloro che operano nell’edilizia». È notizia assai buona, visto che questo settore è ritenuto responsabile per gran parte dell’inquinamento ambientale. Per quanto i dati numerici possano essere non del tutto precisi – si parla del 23% dell’inquinamento atmosferico, del 40% dell’inquinamento delle acque, del 50% della produzione di rifiuti, del 40% della produzione di gas-serra dovuti a costruzioni e abitazioni – comunque danno un’idea delle dimensioni del problema.

«Il passaggio – specifica Astolfi – è avvenuto in modo graduale. Quando studiavo al Politecnico solo poche voci isolate parlavano di bioarchitettura. Dagli anni ’90 l’attenzione è andata crescendo. Oggi la definizione di sostenibilità del rapporto Brundtland, «soddisfare i bisogni delle generazioni attuali senza compromettere la possibilità che le generazioni future riescano a soddisfare i propri», è presente ovunque negli insegnamenti accademici ed è stata fatta propria anche dagli investitori e dagli sviluppatori immobiliari. E questo, nella prospettiva dettata dall’Agenda 2030, vale per tutti gli edifici, di nuova costruzione o esistenti. Il Master di cui mi occupo ha proprio lo scopo di preparare operatori in grado di garantire che nelle nuove edificazioni così come nelle ristrutturazioni siano incluse tutte quelle caratteristiche che consentano il rispetto della sostenibilità».

«All’inizio, nei primi anni ’70 – riferisce Carlotta Cocco, esperta dei differenti sistemi di certificazione delle costruzioni – erano in pochi a occuparsi di queste tematiche: gruppi di giovani amanti della natura, qualche personaggio abbiente desideroso di godere di un’abitazione particolare. Poi si è imposto con forza ili problema del consumo energetico, legato all’inquinamento. E allora sono cominciate le sperimentazioni atte a ottenere edifici energy-efficient…». Non senza qualche problema anche di notevole gravità, come dimostrano alcuni incidenti dei quali il più grave è avvenuto nel 2017 alla torre Grenfell di Londra (costruita nei primi anni ’70 e ristrutturata nel 2015-16), dove il materiale isolante del cappotto termico è andato a fuoco causando la morte di 70 tra i suoi abitanti e decine di feriti.

«Vi sono stati alcuni vizi e difetti dovuti a frettolosità – specifica Cocco – per esempio nell’installare facciate ventilate dotate di isolanti facilmente infiammabili. Ma dagli errori si impara: avvengono in tutti i progressi tecnologici. Importante è correggerli. Un altro errore derivante dal puntare tutto sul risparmio energetico è stato di costruire case totalmente sigillate: vi si crea un’atmosfera interna non salubre. Oggi possiamo dire che c’è stato un processo di maturazione. Se in un primo periodo l’attenzione era riservata al consumo energetico, poi l’orizzonte si è allargato al complesso dell’ambiente in cui si trovano gli edifici e al benessere delle persone. Per questo rilevante è non solo l’edificio in quanto tale, ma anche il modo in cui viene vissuto e gestito. E i sistemi di certificazione si sono evoluti via via, prendendo in considerazione tutti i diversi aspetti di cui si compongono gli edifici».

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«Oggi la progettazione e la costruzione sostenibili sono fatti acquisiti al punto che quasi non se ne fa menzione: sono dati per scontati», spiega Massimo Roj, titolare di Cmr, uno dei maggiori studi di progettazione italiani. «Emblematico è un caso accadutomi verso la fine del secolo scorso: uno sviluppatore romano ci diede nove mesi di tempo per capire che caratteristiche dovesse avere un progetto per una vasta area urbana in cui intendeva investire. Dopo un’ampia ricerca a livello internazionale constatammo che per avere successo un nuovo complesso da realizzarsi in quell’area anzitutto avrebbe dovuto essere “green”. Purtroppo, quando portammo i risultati dell’indagine lo sviluppatore aveva già investito in un centro commerciale… Ma per noi fu un passo importante, perché esplorammo tutte le soluzioni tecnologiche sostenibili e cominciammo ad applicarle ai nostri progetti. Studiando per ogni singolo caso e nelle condizioni date quali sistemi attivi (per esempio i pannelli fotovoltaici) o passivi (per esempio le soluzioni termo isolanti), fossero più adatti. Le torri Garibaldi a Milano, da noi totalmente ristrutturate nel 2008, sono stati i primi grattacieli “verdi” in Italia. Qui, tra l’altro, abbiamo usato l’acqua di falda in funzione geotermica. Ed è interessante notare che allora dovemmo faticare per convincere le autorità a concedere i permessi necessari: ancora non si era diffusa la cultura delle costruzioni sostenibili. Oggi il rispetto per l’ambiente e il risparmio energetico si sono imposti: sono diventati cultura diffusa. Lo si vede anche nelle cose semplici, nelle abitudini quotidiane: spegnere la luce se non si sta nella stanza, suddividere i rifiuti nei diversi contenitori per il riciclaggio…».

Il concetto di sostenibilità in effetti è complesso e riguarda, oltre alle costruzioni in sé, il modo di abitarle. È riassunto nella sigla ESG: Environment, Social, Governance, cioè ambiente, società, gestione. Sono termini tra loro inseparabili. «E l’aspetto sociale non è secondario – ribadisce Federica Sanchez, che nello studio Lombardini 22 si occupa di neuroscienze applicate all’architettura – perché in questa società sempre più votata alla prestazione economica, che tra l’altro si traduce anche in stress psicofisici e nell’isolamento degli individui, l’architettura, per essere veramente sostenibile, deve essere concepita in modo tale da favorire il benessere delle persone. È provato che l’ambiente ha un effetto diretto sulle condizioni d’animo. Il problema è da tempo studiato: tra i primi a porvi attenzione c’è stato Georg Simmel che col suo “La metropoli e la vita dello spirito” nel 1903 mise in luce gli effetti negativi della frenesia della vita urbana. Studi più recenti dimostrano in che modo sia meglio procedere nel progettare. Qualche esempio: le stanze ampie sono più rilassanti di quelle con le pareti vicine, e i rapporti sociali sono facilitati se v’è tranquillità d’animo. Disegni architettonici fondati su angoli e linee rette sono percepiti come stressanti, mentre le linee curve sono più tranquillizzanti. Sì, l’architettura può fare molto per aiutare le persone a vivere meglio, ma va concepita in modo biofilico. Che riconduca alla natura: nelle forme, nelle proporzioni, nei materiali, nei colori». Perché l’architettura sostenibile non è solo tecnica, ma richiede anche tanta sensibilità umana.





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