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La diga che non c’è costringe la Sicilia a sprecare l’acqua (che non ha)


Scrivo da una diga che non esiste. Lo è nel nome, certo, nell’idea che dà di sé, a vedere da lontano questo bacino artificiale buono per scampagnate in riva, Pasquette nell’aria attrezzata, la pesca sportiva – negli anni Ottanta vi fu introdotta la trota fario. Ma una diga non è, la Diga Trinità, vicino Castelvetrano, al centro del Belice, nella Sicilia Sud Occidentale, costruita dal 1954 al 1959 con i soldi della fu Cassa del Mezzogiorno.

Non è una diga, perché viene meno al suo compito fondamentale, che non è quello di argine, ma quello di dare acqua: alle campagne vicine, ai vigneti, agli uliveti che qui producono una coltivazione unica al mondo, la Nocellara del Belice. Questo dovrebbe fare una diga. E questo la diga Trinità non fa. Perché, invece, con uno sforzo che, a seconda dei punti di vista, può essere considerato tragico o comico, poetico o assurdo, l’acqua della diga Trinità disseta invece il mar Mediterraneo.

Sì, l’acqua finisce esattamente a mare. Viene restituita lì dove, si spera, le radiazioni solari, l’evaporazione, il ciclo delle correnti e tutto il resto, restituiscano l’acqua stessa in forma di pioggia, da qualche parte, per calmare l’arsura della terra che l’uomo, in Sicilia, non riesce più a soddisfare.

Giacomo Di Girolamo

La diga Trinità si trova nel territorio comunale di Castelvetrano, in provincia di Trapani,  intercetta il fiume Delia. Ha una superficie complessiva di duecento chilometri quadrati. La risorsa idrica accumulata nel serbatoio è utilizzata a scopo irriguo a favore dei comprensori ricadenti nei comuni di Campobello di Mazara, Mazara del Vallo e Castelvetrano, complessivamente estesi ottomila ettari, dei quali circa seimila coltivati.

Ma io scrivo da una diga che non esiste, perché in realtà è così. È un’opera incompiuta. L’infrastruttura, costruita settanta anni fa, infatti, non è stata mai collaudata. Potrebbe contenere fino a diciotto milioni di metri cubi d’acqua, ma appena ne supera due va svuotata, per ragioni di sicurezza. L’acqua viene buttata a mare e non può essere data agli agricoltori. Non è l’eccezione, attenzione, in Sicilia è quasi la regola. Su ventisei bacini artificiali, in Sicilia, dieci sono nella sua stessa condizione. Poi ci sono quelle inutilizzate perché senza impianti di distribuzione, quelle piene di fango, o l’incompiuta per eccellenza, la diga Blufi che già abbiamo raccontato su queste pagine.

E scrivo pertanto una notizia che non lo è. Perché non ha il carattere della novità, prima regola affinché una notizia possa definirsi tale. E invece è da più di sessanta anni che funziona così: piove e la diga va svuotata. Solo che fino a quest’anno il ciclo delle piogge riusciva a far si che il livello minimo dell’acqua fosse comunque garantito. Adesso che in Sicilia piove poco e male, e che la temperatura è sempre più alta, l’acqua della diga non basta più, ed  è delittuoso, davvero, vedere sprecare questo ben di Dio, per quelle che, tecnicamente, vengono definite le «condizioni di instabilità del corpo diga». Non fa notizia la diga Trinità, come non non fa notizia la diga Rubino, sempre in provincia di Trapani. 

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Anche qui, la capienza è del cinquanta per cento, sempre per ragioni di instabilità. Finisce in mare pure l’acqua del fiume Verdura, in provincia di Agrigento. Ingrossato dalla pioggia di queste settimane, il fiume potrebbe colmare i laghetti artificiali dei campi vicini, e la Regione ha due motopompe di sollevamento dell’acqua, acquistate per l’occasione, ma che invece non può utilizzare. E intanto migliaia di agricoltori attendono invano.

Dal dipartimento Acqua e Rifiuti della regione siciliana fanno spallucce: la diga Trinità, come le altre non collaudate, è tenuta a rispettare una disposizione del ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture che impone di tenere l’acqua al di sotto di una soglia di sicurezza. E questo rimpallo di responsabilità, questa impossibilità di venire a capo di una cosa semplice – dare l’acqua agli assetati – la dice lunga su che cos’è realmente la siccità in Sicilia.

«I nostri vigneti stanno morendo», protestano invano gli agricoltori di Castelvetrano, Mazara del Vallo e Campobello. Ma quello che hanno ottenuto è l’ennesimo tavolo tecnico, dopo i continui rimpalli di responsabilità tra Palermo e Roma, per gli «studi di rivalutazione sismico-idraulica» e le «soluzioni progettuali per arrivare al collaudo definitivo della diga», secondo piani che sono rimasti nei cassetti della regione per oltre mezzo secolo. Con risvolti paradossali. Ad esempio, sono già avanti gli investimenti per i progetti per migliorare l’efficienza delle tubature che dalla diga Trinità portano l’acqua agli agricoltori. Tutto molto importante, certo. Ma se la diga è vuota, che senso ha dare priorità alle condutture? È come sistemare le gomme di un’auto quando il motore è fuso.

Giacomo Di Girolamo

E pensare che la Regione sapeva già tutto. Con le prime avvisaglie della siccità, infatti, già nel 2019 il governo regionale, retto allora da Nello Musumeci, oggi ministro della Protezione Civile, era stato informato degli interventi da fare. A dicembre 2018, infatti, un documento degli uffici tecnici della Regione sottolineava l’urgenza degli interventi, definiti «indifferibili» e la disponibilità delle risorse economiche: tre milioni di euro, stanziati già nel 2016 per verificare la sicurezza sismica della diga e migliorare le opere di sbarramento. Non è stato fatto nulla.

Oggi Musumeci, chiamato in causa da ministro, nel rispondere a un’interrogazione sulla vicenda se ne lava le mani: «La responsabilità è della Regione» dice. Però è bene ricordare che fu lui, nel 2019, a annunciare che quei lavori sarebbero partiti «nel giro di pochi mesi». Promesse che, come spesso accade, si sono dissolte nel nulla. Un’associazione di giovani agricoltori, “I guardiani del territorio”, già dal 2022 aveva lanciato numerosi allarmi, sottolineando l’urgenza di interventi per salvare la diga e prevenire il collasso del sistema idrico.

A dicembre 2024 aveva anche elaborato un documento dettagliato, che includeva soluzioni tecniche e gestionali per il pieno recupero della diga. «Nonostante il riconoscimento da parte dei tecnici ministeriali, il documento è stato ignorato – racconta Davide Piccione, uno dei membri dell’associazione – lasciando spazio a una decisione che avrà conseguenze devastanti. La messa fuori esercizio della diga non è solo un disastro tecnico, ma anche una sconfitta per il nostro territorio, che paga il prezzo di anni di immobilismo istituzionale».

Tutte polemiche che sembrano scorrere via, come l’acqua che, in queste ore, copiosa, esce dalla diga verso il mare: 1,5 metri cubi al secondo. Centotrentamila metri cubi al giorno. Sarebbero bastati per irrigare ottanta ettari di vigneti per un’intera stagione.

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