Nella mattinata di martedì 28 gennaio anche a Velletri ha fatto tappa la mobilitazione degli agricoltori, allevatori e pescatori italiani. Anche a Velletri c’è stata una mobilitazione partita con un presidio per la dichiarazione dello stato di crisi socio economica dell’agricoltura e della pesca in cui vengono richieste misure straordinarie tra cui: la moratoria e ristrutturazione della debitoria di sistema, l’applicazione di clausole di salvaguardia nei settori più esposti alla concorrenza sleale e al dumping, il potenziamento sul prezzo minimo al campo e la trasparenza dei rapporti commerciali, e un’iniziativa per risolvere le principali crisi ambientali che hanno colpito l’Italia e anche i Castelli Romani. I referenti del Presidio Stefano Giammatteo e Davide Parlapiano, hanno invitato non solo i lavoratori del settore ma anche e soprattutto i consumatori a mobilitarsi per tutelare il lavoro delle piccole e medie imprese italiane dell’agricoltura, della pesca, dell’artigianato e degli allevatori, che se lasciate sole, porterebbero inevitabilmente ad una crisi disastrosa del settore. La tutela delle imprese italiane rispetto alle grandi multinazionali è un tema non solo italiano ma che sta avendo forte attenzione in tutta Europa.
Il presidio di Velletri, è uno dei tanti presidi iniziati in tutta Italia; infatti dal 28 gennaio 2025, l’Italia assiste a una nuova ondata di mobilitazione, che si estenderà dalle strade ai porti, dai piccoli comuni ai centri nevralgici del Paese. La protesta nasce da un grido di allarme lanciato da agricoltori, pescatori e lavoratori delle piccole e medie imprese, esasperati da una crisi che non solo minaccia la loro dignità e il loro lavoro, ma rischia di compromettere il diritto al cibo e la tutela del territorio per tutti i cittadini. E l’appello è rivolto proprio ai consumatori, affinché facciano valere il proprio potere anche nella scelta dei prodotti, in un mercato in cui irrompono farine di insetti e carne sintetica.
Dopo le precedenti manifestazioni, che portarono migliaia di lavoratori nelle piazze per denunciare lo stato critico delle aziende agricole e della pesca artigianale, le risposte delle istituzioni sono state giudicate insufficienti e non hanno arrestato un declino che, negli ultimi trent’anni, ha visto l’Italia perdere metà delle sue aziende agricole e di pesca. Numeri drammatici che dipingono un quadro preoccupante: territori sempre più abbandonati, perdita di biodiversità e rischi crescenti per la sicurezza alimentare.
Secondo i dati, oltre 500.000 aziende agricole e di pesca sono scomparse negli ultimi dieci anni. Di queste, il 75% si trovava in zone montane o collinari, le più vulnerabili sotto il profilo ambientale e idrogeologico. Questo abbandono ha lasciato scoperti 850.000 ettari di terra, aumentando il rischio di desertificazione e disastri naturali. A peggiorare la situazione, il reddito agricolo è in calo: mentre in Europa cresce, in Italia è diminuito del 2,9% nel 2020, aggravando la condizione economica di chi lavora la terra e il mare.
Il tutto nonostante l’impegno del Ministero dell’Agricoltura e Sovranità Alimentare, guidato dal ministro Francesco Lollobrigida, e l’attenzione riposta al settore dall’assessore regionale Giancarlo Righini, che ha messo in campo investimenti cospicui per il comparto, che soffre evidentemente anche per gli effetti delle politiche comunitarie. A peggiorare il quadro, infatti, è l’invasione di prodotti agroalimentari stranieri, spesso frutto di pratiche di dumping economico e sociale, ha messo fuori mercato interi settori come l’ortofrutta e l’allevamento. Gli agricoltori italiani, secondo un rapporto ISMEA, percepiscono appena 7 euro di utile ogni 100 euro spesi dal consumatore per prodotti freschi, una cifra ridicola rispetto agli introiti del commercio e dei trasporti.
La crisi, poi, non è solo economica: i cambiamenti climatici stanno accelerando fenomeni di desertificazione e stress idrico. La mancanza di acqua, la pressione della fauna selvatica e l’incremento di zoonosi e fitopatologie stanno devastando il settore primario. A questo si aggiungono la cementificazione crescente, l’uso delle terre per produrre energia piuttosto che cibo e la privatizzazione delle risorse genetiche. La chiusura delle aziende non colpisce solo chi lavora la terra e il mare, ma l’intera collettività. L’abbandono delle aree rurali porta con sé danni ambientali, dismissione dei servizi pubblici e impoverimento delle comunità locali, con conseguenze sul tessuto economico e sociale del Paese.
Il Consiglio Unitario della Mobilitazione ha presentato un manifesto con obiettivi chiari. La priorità è la dichiarazione dello stato di crisi socioeconomico per il settore agricolo, della pesca e dell’allevamento. Questa misura è fondamentale per avviare un piano straordinario che includa:
- La moratoria sui debiti delle aziende e la ristrutturazione degli investimenti.
- L’applicazione di clausole di salvaguardia contro le importazioni selvagge.
- Il contenimento dei costi produttivi, dalla burocrazia all’energia.
- Misure di mitigazione per affrontare emergenze ambientali come siccità e fauna selvatica.
- Un prezzo minimo garantito per i prodotti agricoli e della pesca.
- Inoltre, si propone un piano strategico per rilanciare il settore, fondato sulla Sovranità Alimentare, ossia il diritto dei popoli a determinare modelli di produzione e consumo sostenibili, senza dipendere dalle importazioni.
La mobilitazione punta a sensibilizzare l’opinione pubblica sui rischi di un’agroalimentare italiano senza agricoltori e pescatori. Gli organizzatori sottolineano che la consapevolezza dei cittadini è il primo passo per costruire un’alleanza solida. Agricoltori e pescatori non sono solo produttori di cibo, ma anche i primi difensori dell’ambiente e del territorio, concetti peraltro ribaditi a più riprese anche nei mesi scorsi dai vertici regionali, anche nel padiglione della Festa del Fungo Porcino, a Lariano. Dal 28 gennaio, l’obiettivo è portare queste istanze alle istituzioni, coinvolgendo comuni, regioni e governo per adottare misure straordinarie. “Non possiamo più attendere – affermano i promotori –. La crisi è ormai una questione di sicurezza nazionale. Senza agricoltori e pescatori, il diritto al cibo è a rischio”. Uniti sotto il grido “Su la testa!”, agricoltori, pescatori e cittadini scenderanno in piazza, determinati a difendere il futuro del settore primario, l’ambiente e le comunità locali.
A Velletri, nel parcheggio dell’alimentari Fantozzi, abbiamo intervistato Stefano Giammatteo, che a nome dell’ASPAL e del COAPI, ha rappresentato il Consiglio Nazionale dei presidi per la mobilitazione per lo stato di crisi.
Di seguito il VIDEO, con le sue parole.
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