È gravemente malato e così il Tribunale di Sorveglianza di Bologna ha disposto i domiciliari per Ernesto Fazzalari, detto u lentu, il boss della ‘ndrangheta che fino a 10 anni fa era il latitante più ricercato dopo Matteo Messina Denaro. I magistrati hanno accolto i ricorsi dell’avvocato Antonino Napoli e hanno annullato ben tre ordinanze di rigetto del differimento della pena o della concessione della detenzione domiciliare, una emessa dal Tribunale di Sorveglianza de L’Aquila e due ordinanze emesse del Tribunale di Sorveglianza di Bologna, in seguito al trasferimento di Fazzalari presso il centro diagnostico e terapeutico del carcere di Parma.
Il boss ha un male aggressivo che è incompatibile con il regime del 41 bis al quale è sottoposto dal giugno 2016, quando venne arrestato a Molochio, in provincia di Reggio Calabria. Fazzalari era stato condannato all’ergastolo nel processo Taurus. Una pena poi ridotta a 30 anni dalla Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria. Il suo nome è legato alla faida di Taurianova consumata a cavallo tra gli Anni ottanta e novanta, quando la cittadina della Piana di Gioia Tauro è stata al centro di uno dei più sanguinari scontri tra le cosche di ‘ndrangheta. Proprio in quella faida, infatti, nella piazza di Taurianova i boss sono arrivati a tagliare le teste per poi utilizzarle per il tiro al bersaglio. Fratello Domenico e cugino Salvatore Fazzalari, u lentu è uno dei massimi esponenti della cosca Avignone-Zagari-Viola.
Nell’elenco dei latitanti più pericolosi d’Italia, quando è stato catturato dai carabinieri, il nome di Ernesto Fazzalari era dietro solo a quello di Matteo Messina Denaro, il boss di Cosa nostra morto nel settembre 2023 dopo la cattura avvenuta a gennaio dello stesso anno. Mentre era al 41 bis, a Fazzalari gli è stata diagnosticata una grave patologia che ha indotto la difesa a chiedere il differimento della pena o la detenzione domiciliare sul presupposto che da alcune recenti sentenze emergeva che la sua operatività, quale capo di una cosca di ‘ndrangheta, non si aveva dimostrazione concreta nel periodo antecedente alla sua cattura. “Il Tribunale di Sorveglianza di Bologna – afferma il legale – concedendo la detenzione domiciliare ha di fatto applicato il principio di civiltà giuridica che sancisce la prevalenza del diritto alla salute come garanzia della dignità del detenuto e dell’umanità della pena”.
Ritornando al suo profilo, al momento della cattura avvenuta all’interno di un’abitazione in un complesso di caseggiati a ridosso dell’Aspromonte, a pochi chilometri dal suo paese d’origine, il boss era armato e non aveva opposto resistenza. Nella sua scheda personale gli investigatori lo descrivevano come “un elemento di spicco dell’omonima consorteria mafiosa”. Secondo gli inquirenti che già nel 1993 avevano disposto la sorveglianza speciale per il boss, infatti, era “inserito nella malavita di Taurianova ed, in particolare, nel casato Viola-Zagari”. Erano gli anni in cui Fazzalari guidava una Lancia Thema blindata di proprietà dei fratelli Zagari con i quali condivideva un ruolo di protagonista della faida. Era uno dei killer “più spietati, partecipante attivo delle azioni delittuose con una condivisione totale degli scopi e dei programmi del gruppo Zagari” al quale lo legavano “intensi rapporti di frequentazione, motivati anche da amicizia personale” oltre che “una disgraziata condizione di tossicodipendenza” dalla quale Fazzalari era riuscito a uscirne.
“Sparava come un pazzo” e proprio per questo è stato condannato per associazione mafiosa, per l’omicidio di Vincenzo Maisano e di Francesco Asciutto e per il tentato omicidio di Antonio Sorrento e Santo Asciutto. Ai tempi della faida, inoltre, Fazzalari “rappresentava proprio per le sue doti personali la vittima privilegiata in tutti i progetti omicidiari del gruppo Asciutto che lo riteneva essenziale per la sopravvivenza degli avversari”. Più volte è stato vittima di agguati, tutti falliti, ma la sua eliminazione, stando a quanto sostengono i pentiti, “era nei disegni della cosca anche in epoca successiva alla pace” del 1992.
Di lui, nel corso degli anni, hanno parlato diversi pentiti. Uno di questi è Roberto Comandé che raccontò un episodio della faida relativo al giorno dell’attentato a Santo Asciutto in cui rimase ferito proprio l’ex latitante Fazzalari. Quest’ultimo – disse il collaboratore di giustizia – “era andato, come era solito fare, insieme al padre in campagna. Ivi giunto, mentre effettuava una retromarcia per posteggiare aveva visto nello specchietto retrovisore Guerino Avignone con un fucile in mano; poi erano giunti altri soggetti con un Fiorino ed avevano iniziato a sparare. Santo si era difeso sparando a sua volta con la pistola che possedeva, ferendo Ernesto Fazzalari, mentre il padre, trovatosi nel mezzo del fuoco, veniva ucciso”.
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