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Rischio idrogeologico: in Toscana bisogna fare di più


di Mauro Grassi, direttore della Fondazione Earth and Water Agenda

Nel mio intervento al Convegno a Carrara del 24 gennaio 2025 sul rischio idrogeologico ho cercato di dare alcuni spunti alla comunità locale e alle istituzioni di rappresentanza per rafforzare una politica di lungo periodo per la mitigazione strutturale del rischio.  

Intanto una premessa. Il cambiamento climatico è in atto, procede molto più velocemente di quanto previsto, col 2023 e 2024 come anni più “caldi” degli ultimi cento anni, mentre le politiche di regolazione delle emissioni climalteranti segnano il passo. Nell’ultimo anno l’Onu ha registrato un aumento mondiale delle emissioni e soltanto l’Europa, con il -7,2%, e Gli Usa, con appena il -1,4%, hanno registrato una diminuzione. Cina e India hanno continuato a crescere in maniera sensibile. Questo significa che gli obiettivi di contenimento posti dalla Cop di Parigi non saranno raggiunti e che ci dovremo abituare a cambiamenti climatici ancora più intensi e, per alcuni versi, imprevedibili negli effetti sui territori e sulle comunità locali. 

A fronte di tutto ciò le politiche di adattamento diventano ancora più necessarie e richiamano in prima persona le istituzioni locali e nazionali. Infatti, se la mitigazione delle emissioni è una “politica globale”, e in caso di disaccordo fra paesi diventa difficile da perseguire, l’adattamento è una “politica locale” e quindi deve essere attuata a partire dalle necessità dei singoli territori.

La Toscana e più specificatamente l’area di Massa Carrara sono aree particolarmente critiche dal punto di vista del rischio idrogeologico. La Toscana è la seconda regione col 26% della popolazione a rischio alluvione, lontana dal 60% dell’Emilia-Romagna ma decisamente superiore al resto del paese. Carrara col 31% e Massa col 38% rappresentano realtà decisamente a rischio. E necessitano ovviamente di politiche strutturali e non strutturali di intervento. Molte sono state realizzate negli ultimi decenni ma i caratteri idrogeologici dell’area e gli effetti del cambiamento climatico attuale e futuro richiedono ulteriori impegni e una continuità di attenzione nel tempo. 

Il cambiamento climatico aumenta il rischio di alluvioni intensificando le precipitazioni e innalzando, anche se i tempi più lunghi, il livello del mare. Le piogge più abbondanti e concentrate causano alluvioni improvvise, mentre l’innalzamento del mare incrementa il rischio di inondazioni costiere. L’urbanizzazione e le superfici impermeabili aggravano il problema specie nella città “più costruite”, cioè dove il grigio ha eliminato o reso marginale il verde e il blu. 

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Nella realtà massese e carrarina le piogge degli ultimi cento anni mettono in evidenza alcune, isolate, punte giornaliere oltre i 150 mm, con la punta del 25 luglio 1968 a 300 mm a Carrara, ma con numerosi casi al di sopra degli 80 mm giornalieri. Si tratta di eventi che creano forti criticità a causa di fenomeni di esondazione fluviale, si pensi ai torrenti Carrione (Carrara) e Frigido (Massa), ma anche, in mancanza di esondazione, a causa di allagamenti urbani che creano danni e disagi alla popolazione e alle attività economiche. 

La risposta a queste criticità può essere classificata su tre livelli

Il primo livello riguarda gli interventi strutturali, anche con opere “nature based”, a monte degli agglomerati urbani per realizzare “bacini spugna”. Cioè, bacini in grado di trattenere l’acqua (invasi, casse di espansione etc), di farla scorrere su percorsi controllati alternativi al fiume (scolmatori) e di evitare l’esondazione (argini, etc). Il secondo livello è quello interno all’area propriamente urbana. Si tratta di costruire, nel senso di ricostruire e rigenerare la città, secondo l’approccio della “città spugna”. Un approccio oramai seguito nel mondo da più di venti anni, in tutte le realtà urbane più avanzate, che punta a immettere quote di verde e di blu al posto dell’eccessivo grigio. Si tratta di operazioni che durano, per essere sempre più efficaci, alcuni decenni ma che necessitano di partire al più presto anche nel nostro paese. La città deve fare pace con l’acqua e deve ricostruire un equilibrio fra sistema costruito e ciclo dell’acqua per evitare rischi e danni crescenti. La città spugna è una città che sa accogliere dosi importanti di pioggia senza entrare in crisi. Con sistemi di accumulazione naturale, con drenaggi controllati che evitano di entrare nel sistema fognario, con aree verdi e blu in grado di tenere la pioggia e rallentare il “run-off”: insomma con un modo di essere città molto diverso da quello a cui ci ha abituato il nostro tradizionale sviluppo urbano. Oltre che più efficace nel trattenere e controllare l’acqua, la città spugna sarà una città più bella, più a misura di uomo e più capace di dare respiro e sollievo alla popolazione durante le giornate estive roventi e in presenza dei terribili “picchi di calore”.

Il terzo livello di approccio è quello definito come “floodability”.  Cioè, la capacità della popolazione e degli imprenditori economici di gestire gli eventi alluvionali che, dentro la città, potranno aver luogo comunque nonostante i due precedenti livelli di “difesa”. È noto che il “rischio zero” non esiste nel campo della mitigazione del rischio idrogeologico. In alcuni casi gli interventi di difesa sarebbero difficili o troppo costosi in tema di analisi costi benefici. E allora occorre che la popolazione si attrezzi con la conoscenza dei fenomeni e quindi con lo sviluppo di comportamenti adeguati nel caso di eventi calamitosi e con approcci, sistemi e strumenti di autodifesa dei “propri luoghi di vita e di attività”. I modi per difendersi attivamente nel caso di alluvione sono tanti e occorre che la popolazione, le singole realtà locali siano in grado di sapere cosa fare e come prevenire danni e disagi. A monte di tutto questo sta ovviamente la conoscenza del fenomeno alluvione, come di altri fenomeni di rischio primo fra tutti il terremoto, che può fondarsi sulla lettura e comprensione dei Piani Comunali di Protezione Civile che sono strumenti obbligatori, presenti in ogni comune d’Italia, ma perlopiù sconosciuti a tutti. In secondo luogo, un sistema di allertamento e di informazione sugli eventi che non si limiti al colore del rischio dato dalla previsione del giorno prima ma che sia sempre di più “nowcasting”, cioè un allertamento che si fonda sul “tempo reale” e che è in grado di dare informazioni pertinenti sui probabili accadimenti con qualche ora di anticipo sugli eventi. 

Insomma, la Toscana è un’area critica e il cambiamento climatico non potrà che aumentare questa evidenza. Le Istituzioni nazionali, regionali e locali conoscono le criticità. Attualmente il sistema pubblico spende, fra interventi e manutenzione, poco più di un miliardo di euro l’anno a livello nazionale. In un recente libro scritto insieme ad Erasmo D’angelis abbiamo proposto un Piano decennale contro il dissesto idrogeologico di circa 39 miliardi, cioè quasi 4 miliardi l’anno. Bisogna fare di più. E questo di più è alla portata del paese. Bisogna cominciare. 





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