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Cina e socialismo di mercato, un connubio caratteristico della sua storia


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La continua affermazione cinese con il suo socialismo di mercato ci spinge a indagare ulteriormente la storia e la cultura di questo popolo.

La Cina e il socialismo di mercato

Il substrato politico-culturale sinico affonda, sin in epoca antica, nella presenza di un’autorità centrale.

Le popolazioni del Fiume Giallo si radunarono molto presto attorno ad un’autorità centrale, sorsero dinastie. Considero di un qualche valore la teoria delle civiltà fluviali, l’organizzazione di fiumi, canali, dighe, risaie favorì la concentrazione umana e la formazione di un settore burocratico-amministrativo atto a governarla.

L’addomesticazione del riso e del miglio avvenne attorno a 9000 anni fa (7500 a.C.) di un migliaio di anni più recente (almeno in base alle conoscenze attuali) del Medio Oriente/Mesopotamia.

Sul passato, si scontrano due diverse visioni del mondo preistorico.

L’Occidente ha completamente sposato (anche alla luce di ritrovamenti e analisi genetiche) l’idea che tutti i Sapiens sarebbero originari dall’Africa e che quindi, data la presenza di altri ominidi antecedenti fuori dal continente nero, ci siano state più partenze dall’Africa, con ultima quella dell’uomo moderno poi diffusosi nel mondo.

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I cinesi (ma sarebbe più corretto dire orientali, perché anche tra i giapponesi scorrono carsicamente idee simili) sono invece convinti che l’uomo moderno si sia evoluto in una pluralità di centri, dati anche dal mescolamento con specie ominine precedentemente presenti nei vari contesti.

La tesi al momento in Occidente ha seguito nullo, ma le autorità asiatiche stanno provando a rovesciare questa visione del mondo. Lo fanno scavando ovunque in tutto il territorio cinese, annunciando nuove scoperte, retrodatandone altre e cercando una qualche continuità tra ceppi moderni asiatici e gruppi umani non Sapiens precedenti (punto su cui le grotte siberiane e centroasiatiche qualche soddisfazione hanno cominciato a dargliela).

Vi domanderete: ma perché ci parli di questa sfida sul “multipolarismo preistorico”? Ve ne parlo, perché ogni epoca ha le sue idee che sono figlie dei rapporti di forza nella società e l’affermazione (o paventare) la possibilità di uno sviluppo policentrico di Homo Sapiens Sapiens è un segno dei tempi (senza entrare nel merito della questione).

Altro elemento, che forse sarebbe bene conoscere di questa fiorente civiltà è quello religioso-filosofico.

Parliamo di un cosmo vastissimo, la cosa migliore sarebbe inserire cattedre di filosofia cinese o asiatica nelle nostre università; decolonizzare i programmi di filosofia, storia e letteratura a scuola; magari cominciare a far studiare non inglese + una lingua dell’UE, ma una lingua indoeuropea e una lingua orientale a scelta.

La Cina col suo singolare socialismo di mercato presenta un connubio caratteristico della sua storia.

Gli insegnamenti nativi (taoismo e confucianesimo) attorno al 13*-14* si fusero col buddhismo mahayana (di importazione). Lo stesso taoismo è ancora molto dibattuto come sia nato, ma per lo più è invalsa la tesi che inizialmente non esistesse un corpo dottrinario specifico con questo nome, ma che vi fosse un insieme di maestri teorici (simil-filosofi) e pratici (alchimisti, divinatori, sciamani, guaritori), che condividevano un clima.

Le spinte centrifughe istituzionali, la canonizzazione in testi scritti e l’avvento del buddhismo (già organizzato con ordini religiosi, monasteri e sutra) favorirono la trasformazione del taoismo in gruppo religioso organizzato.

La natura di questa scuola meriterebbe una trattazione a parte, in essa coesistono contraddizioni (per l’occhio occidentale) che il cinese non coglie, si può invitare al contempo il buon sovrano a non intervenire in un passaggio, ma a gestire con equanimità in un altro.

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Il pensiero taoista cerca il ricongiungimento con il Dao (il sentiero, l’ordine naturale, il cosmo, concetto troppo difficile da tradurre in una trattazione così ristretta) agendo secondo propria natura o non agendo; non del tutto dissimile dagli sviluppi successivi del buddhismo, con cui infatti andò a volte molto d’accordo, altre sviluppò una competizione, tra l’odio e l’amore, che ebbe risvolti sulla letteratura da svago successiva, si divisa in anti-buddhista o anti-taoista.

Il taoismo rimase polo dialettico della cultura cinese, non sempre gradito alle autorità per il suo potenziale nichilista, rivoluzionario, anarchico, aspirativo a una vita migliore, ma da conseguire attraverso esercizi e pratiche spirituali qui in vita.

Il taoismo (in minor chiave il buddhismo) fu alla radice di molti movimenti di rivolta contadina nel corso della storia e le dinastie regnanti dovettero scegliere come incanalare o reprimere questo dissenso tradizionale: i Ming optarono per fonderlo in un grande amalgama neo-confuciano; i Qing optarono per un’espulsione de facto dal corpus di Stato (curioso che la dinastia mancese-mongola, quindi vicina alle istanze sciamaniche, abbia scelto un approccio duro nei confronti del taoismo).

Il taoismo è quindi un polo dialettico della storia del pensiero cinese opposto al confucianesimo: il primo creativo e anarcoide, impossibile da contenere in un fiume, il secondo costruttore di un’etica sociale e familiare, fondato sull’equilibrio tra i rapporti nello Stato e nella Società.

Questo aspetto contraddittorio della civiltà cinese riemerse a più riprese anche nella storia recente: momenti di forte chiusura e rigidità, furono accompagnati a scoppi di violenza eretica in una palingenesi rinnovatrice (rivoluzione culturale).

Così, i cinesi riescono a convivere in questo binomio tra socialismo e mercato e a sperimentare una NEP di lungo corso (anche se credo si tratti di un confronto improprio, rende l’idea).

“Il vento non cessa anche se gli alberi vogliono riposare” – Mao-

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