Negli ultimi anni, l’Italia ha registrato un aumento dei lavoratori a bassa retribuzione, una tendenza che suscita interrogativi su politiche salariali, equità sociale e prospettive economiche future. Secondo i più recenti dati forniti dall’Istat sulla struttura delle retribuzioni e del costo del lavoro, pubblicati lunedì, la percentuale di lavoratori che guadagnano meno di una soglia specifica è passata dal 9,8% nel 2018 al 10,7% nel 2022. Questo aumento, pur sembrando modesto in termini assoluti, rispecchia una situazione critica per alcune fasce della popolazione, colpite più duramente da questa dinamica.
La soglia della bassa retribuzione
La definizione di “bassa retribuzione” si basa su una soglia oraria che varia nel tempo per tenere conto dell’inflazione e delle variazioni salariali. Nel 2018, questa soglia era fissata a 8,5 euro l’ora, mentre nel 2022 è salita a 8,9 euro. Tuttavia, l’adeguamento non è stato sufficiente a compensare l’aumento del costo della vita, lasciando molti lavoratori con un potere d’acquisto ridotto. La crescita dell’incidenza dei salari bassi si è dunque verificata in un contesto in cui il reddito reale di molti lavoratori è rimasto stagnante o addirittura diminuito.
Le categorie più colpite: donne, giovani e lavoratori meno istruiti
L’analisi dei dati mette nero su bianco come alcune categorie siano particolarmente esposte al fenomeno della bassa retribuzione. Le donne, ad esempio, mostrano una percentuale più elevata (12,2%) rispetto agli uomini (9,6%). Questo divario riflette le persistenti disuguaglianze di genere nel mercato del lavoro italiano, dove le donne sono spesso impiegate in settori meno remunerativi o in posizioni precarie.
Anche i giovani sono tra i più colpiti: quasi un quarto dei lavoratori sotto i 29 anni (23,6%) percepisce una retribuzione inferiore alla soglia di 8,9 euro l’ora. Questa situazione, ancora una volta, riflette l’instabilità che caratterizza l’ingresso nel mercato del lavoro, dove i contratti temporanei e le occupazioni a bassa qualifica sono particolarmente diffusi.
Infine, i lavoratori con un livello di istruzione inferiore al diploma presentano un’incidenza di bassa retribuzione pari al 18%.
La decisione sul salario minimo orario?
Questi dati assumono una particolare rilevanza alla luce della recente decisione del governo Meloni di chiudere la porta all’introduzione di un salario minimo orario. La proposta, dibattuta a lungo in sede politica, mirava a garantire una soglia minima di retribuzione per tutti i lavoratori, contribuendo a ridurre le disuguaglianze salariali. Tuttavia, l’esecutivo ha scelto di non procedere in questa direzione, sostenendo che altre misure, come il potenziamento della contrattazione collettiva, sarebbero più efficaci nel garantire salari equi.
Gli oppositori di questa decisione ricordano come l’assenza di un salario minimo lasci spazio a situazioni di sfruttamento, soprattutto nei settori dove la contrattazione collettiva è debole o inesistente.
Un fenomeno inquadrato nello scenario europeo
L’Italia non è l’unico Paese europeo a confrontarsi con il problema della bassa retribuzione, ma si distingue per alcune peculiarità. Secondo le statistiche europee, la percentuale di lavoratori a basso reddito in Italia è inferiore a quella di altri Paesi come Germania e Regno Unito, ma superiore a quella di nazioni come Francia e Paesi Bassi. Tuttavia, l’assenza di un salario minimo legale pone l’Italia in una posizione diversa rispetto alla maggior parte dei Paesi dell’Unione Europea, dove una soglia minima è già stata introdotta.
In molti Paesi, l’introduzione di un salario minimo è stata accompagnata da misure complementari, come incentivi fiscali per le imprese, al fine di mitigare gli effetti negativi sull’occupazione.
Quali strade per migliorare la situazione?
Di fronte a questi dati, emerge l’esigenza di interventi e soluzioni per affrontare il problema della bassa retribuzione. Una possibile soluzione potrebbe essere l’introduzione di un salario minimo orario, accompagnato da un rafforzamento della contrattazione collettiva e da politiche volte a sostenere i settori più colpiti. In parallelo, investimenti nell’istruzione e nella formazione professionale potrebbero contribuire a ridurre il divario salariale, offrendo ai lavoratori competenze più richieste dal mercato.
Patricia Iori
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