Scoperta, fra le pieghe di un documento amministrativo, la destinazione dei diciassette cask del combustibile radioattivo, “riprocessate” all’estero per “estrarre” plutonio ed uranio dalle barre irraggiate durante l’esercizio di quattro centrali nucleari italiane. “Italia Libera” ha analizzato il documento e ne pubblica lo stralcio integrale. Secondo le procedure internazionali le scorie dovrebbero essere trasferite in un deposito strutturato per custodirle migliaia di anni. E Saluggia non è il posto giusto per farlo neanche transitoriamente. Il deposito Avogadro dove dovrebbero essere portate le scorie è a monte da uno dei più grandi acquedotti del Piemonte, in un’area allagabile dalle esondazioni della Dora Baltea. L’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione (Isin) il 31 dicembre 2023 aveva scritto: «… resta comunque ferma la necessità di procedere al programmato allontanamento del combustibile (della centrale del Garigliano, ndr) considerata la vetustà della struttura stessa». Chi è il “genio” che ha deciso di cambiare le carte in tavola? Preoccupazione nella popolazione dei cento otto comuni serviti dall’acquedotto del Monferrato, chiesta la convocazione urgente del Tavolo regionale di Trasparenza e partecipazione
◆ L’analisi di GIAN PIERO GODIO, Legambiente e Pro Natura del Vercellese
► Nella “Relazione sulla gestione del gruppo Sogin per l’esercizio 2023” si prevede che i rifiuti radioattivi derivanti dalla attività di riprocessamento all’estero del combustibile nucleare irraggiato proveniente dalle centrali nucleari italiane dismesse ritorneranno in Italia per essere stoccati «temporaneamente» presso il sito del Deposito Avogadro di Saluggia in provincia di Vercelli. Per essere più precisi, il testo integrale, a pagina 43, dice testualmente: «…la gran parte del combustile irraggiato degli impianti nucleari italiani è stata inviata all’estero per il riprocessamento, che si caratterizza per un insieme di operazioni che permettono di recuperare le materie nucleari che possono essere riutilizzate per la produzione di nuovo combustibile, separandole dai rifiuti radioattivi che, opportunamente trattati e confezionati, ritorneranno in Italia, per essere stoccati temporaneamente presso il sito del Deposito Avogadro appositamente ristrutturato. Questi saranno poi conferiti al Deposito Nazionale al momento della sua disponibilità». Nel concreto, si tratta di 17 cask alti più di 6 metri con un diametro di due metri e mezzo, ciascuno con una radioattività di oltre 100 milioni di miliardi di Becquerel, 4 si trovano nel centro nucleare inglese di Sellafield e 13 nel centro nucleare francese di La Hague.
Il Deposito Avogadro di Saluggia è una struttura privata la cui proprietà fa capo a Stellantis e che un tempo ospitava il primo reattore nucleare di ricerca realizzato in Italia, il reattore Avogadro RS-1 di Sorin. Una volta smantellato il reattore negli anni ’80, la struttura è stata trasformata in un deposito di materiali radioattivi e Sogin ne “prende in affitto” a caro prezzo la possibilità di mantenere lì una parte dei propri rifiuti radioattivi, anche se la collocazione di questo deposito non è certo la più sicura e la più razionale, trovandosi a 700 metri dal corso del fiume Dora Baltea e a 1400 metri a monte dei pozzi del più esteso acquedotto del Piemonte, lo storico Acquedotto del Monferrato, che rifornisce più di cento Comuni. Questa infelice collocazione ha fatto sì che, nelle varie esondazioni della Dora Baltea, il deposito abbia avuto parecchi problemi, tra i quali l’acqua che risaliva dai tombini e allagava i locali di servizio, come efficacemente mostrato dalla trasmissione “Report – Radioattività di Stato” del 19 novembre 2000 https://www.raiplay.it/video/2011/03/Radioattivita-di-stato—Aggiornamento-del-19112000-fe5bc6a0-880a-43e2-b134-bf7c18185611.html .
Il Comune di Saluggia, nel Piano Regolatore vigente, a pagina 91 delle Norme di attuazione, propone «la completa denuclearizzazione del sito Avogadro, la bonifica e la riqualificazione delle aree e l’eventuale riconversione ad uso industriale degli immobili o la loro demolizione», e prescrive «a denuclearizzazione del sito», mentre Isin (ecc, l’autorità di controllo sul nucleare, a proposito della struttura del vecchio deposito Avogadro, scrive, a pagina 42 del proprio inventario dei rifiuti radioattivi presenti in Italia, nella ultima versione aggiornata al 31 dicembre 2023, che «… resta comunque ferma la necessità di procedere al programmato allontanamento del combustibile considerata la vetustà della struttura stessa».
Come se questo “brillante” curriculum non fosse sufficiente a sconsigliare di utilizzare una struttura così problematica per vetustà e collocazione, ci si chiede anche come mai Sogin abbia già deciso di riportare in Italia le scorie radioattive derivanti dal riprocessamento delle barre di combustibile utilizzate in passato nelle centrali nucleari del Garigliano, di Latina, di Caorso e di Trino, quando il “Programma Nazionale per la gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi”, nel testo consolidato a seguito del procedimento di Valutazione Ambientale Strategica concluso con il decreto di Vas n. 340 del 10 dicembre 2018, a pagina 26, fra gli obiettivi del Piano prevede testualmente quanto segue: «Obiettivo 6. Immagazzinare, a titolo provvisorio di lunga durata, nel Deposito Nazionale i rifiuti radioattivi ad alta attività e il combustibile esaurito, provenienti dalla pregressa gestione di impianti nucleari … e, durante il periodo transitorio di permanenza dei rifiuti radioattivi ad alta attività nel Deposito nazionale, individuare la più idonea soluzione di smaltimento degli stessi in un deposito geologico, tenendo conto anche delle opportunità offerte nel quadro dei possibili accordi internazionali che potranno concretizzarsi nel corso del suddetto periodo».
Stante questa incomprensibile e pericolosa previsione di Sogin, le associazioni ambientaliste del territorio hanno immediatamente chiesto l’urgente convocazione del Tavolo regionale di Trasparenza e partecipazione sul nucleare, previsto con cadenza almeno annuale dalla Legge Regionale del Piemonte n. 5 del 2010. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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