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Siria, cade il regime di Assad, la gioia della popolazione e i dubbi sul futuro


Tempo di lettura: 2 minuti

È bastata un’azione di poco più di dieci giorni per far cadere in Siria il regime di Bashar al-Assad, mettendo fine a oltre cinquant’anni di dittatura e, ci si augura, la guerra civile iniziata nel 2011 proprio per rovesciare Assad: l’offensiva guidata dal gruppo Hay’at Tahir al-Salam (HTS, “Organizzazione per la liberazione del Levante”) a cui hanno preso parte anche milizie curde e gruppi alleati dell’esercito nazionale siriano, è partita alla fine di novembre nel nord-ovest della Siria, una rapida corsa verso la capitale, Damasco, presa ufficialmente nella giornata di domenica 8 dicembre. Assad, di cui si sono perse le tracce per qualche ora, ha trovato rifugio in Russia con la sua famiglia.

Il fronte di guerra siriano, uscito da tempo dalle cronache occidentali con l’avvicendarsi di nuovi conflitti e governi rovesciati negli ultimi anni in Medio Oriente (il ritorno dei talebani al potere in Afghanistan e la guerra tra Israele e Hamas, per esempio), non si è mai sopito del tutto, malgrado la situazione fosse tenuta sotto controllo dalle forze governative grazie agli appoggi internazionali di Assad, in particolare Russia e Iran.

Proprio questo sostegno internazionale tuttavia è venuto meno nell’ultimo periodo, a causa della complessità dell’attuale scacchiere bellico. Tra il rientro delle forze russe in patria per il protrarsi della guerra in Ucraina e l’impegno dell’Iran e del gruppo libanese nel conflitto con Israele, Assad si è trovato solo a contrastare l’HTS e i suoi alleati. Una situazione molto complessa, considerando che il dittatore da tempo ha perso l’appoggio della popolazione, e che negli ultimi giorni l’esercito regolare si è fatto da parte.

Siria, cosa succede adesso, mentre si forma un governo di transizione

Se il popolo siriano festeggia, compresi i moltissimi rifugiati che nell’ultimo decennio hanno riparato in Europa o in paesi confinanti, il crollo del regime lascia comunque spazio a molti dubbi, in particolare su come HTS si relazionerà con le istituzioni e con le altre forze che hanno contribuito a prendere Damasco. Al Jazeera ha riportato che Muhammad al-Bashir, capo del Governo di salvezza siriano, organismo sorto durante l’esilio dei ribelli e operante per anni nell’ombra per sfuggire alle repressioni del regime di Bashar al Assad, avrebbe ricevuto l’incarico di formare un esecutivo transitorio della Siria.

La decisione avrebbe seguito una riunione tra abusi Muhammad al-Jolani (leader dell’HTS) e il primo ministro siriano ormai destituito, Mohammad Ghazi al-Jalali. Bashir, che prima di diventare un leader politico era un ingegnere, ha ricoperto diversi incarichi nel Governo della salvezza, di fatto uno Stato Islamico non riconosciuto situato nella Siria nord-occidentale, roccaforte delle forze ribelli al regime di Assad.

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La paura occidentale di un nuovo Stato Islamico peggiore della dittatura di Assad

Il gruppo che ha guidato l’azione di queste ultime settimane è infatti considerato in Occidente un gruppo terroristico paragonabile all’ISIS, per certi versi. Sebbene HTS negli ultimi anni abbia lavorato a una sorta di “rebranding” della propria immagine, uscendo dalla sfera di intensa di al-Qaeda e smettendo almeno gli abiti dei fondamentalisti islamici, è comprensibile la preoccupazione che i proclami di convivenza pacifica rivolti agli altri gruppi religiosi presenti in Siria siano solo belle parole per tranquillizzare gli alleati americani ed europei. Tra le minoranze religiose che temono nuove persecuzioni, ci sono anche circa due milioni e mezzo di cristiani, appartenenti a diverse confessioni, pari al 10% della popolazione siriana.

Una preoccupazione più che concreta, considerando che anche i talebani avevano promesso di creare una società più moderna, per quanto in linea con la Shari’a (legge islamica), al rientro a Kabul nel 2021. Una promessa vuota, considerando che a oggi le donne afghane sono di nuovo escluse dalla vita pubblica e le minoranze perseguitate.

Il rischio più concreto è che la Siria diventi una sorta di “Iran 2.0”: anche il regime di Khomeini infatti iniziò con la cacciata di un dittatore e la promessa di un futuro luminoso per la società iraniana. A 45 anni da quelle dichiarazioni, a Teheran rimane vigente un regime dove la religione è usata come arma per reprimere le persone, in particolare le donne e le persone della comunità LGBTQ.

I rifugiati siriani cominciano a progettare il rientro

Tuttavia, in questo momento predomina la gioia, in particolare dei rifugiati siriani sparsi nel mondo che cominciano a considerare la possibilità di tornare in patria, in particolare dai Paesi limitrofi. Particolare attenzione in Turchia e Giordania, dunque, dove si temono anche nuovi esodi dalla Siria. Le frontiere, tuttavia, sembrano sono aperte per chi si muove verso la madrepatria.

Secondo l’Unhcr, ci sono almeno 13,8 milioni di profughi siriani nel mondo, la più grande crisi di rifugiati degli ultimi anni. Solo in Italia nel 2024 sono sbarcati più di 12.000 richiedenti asilo siriani. Il nostro Paese non è tra quelli che ne ospita di più, tuttavia: le più grandi comunità si trovano in Turchia (che da sola ospita circa un terzo di profughi siriani sparsi nel mondo, quasi 4 milioni di persone), in Libano e in Giordania. Tra i paesi europei, è la Germania con i numeri più alti, con oltre 520mila rifugiati siriani: non a caso domenica si sono tenute feste di piazza per esultare alla notizia della caduta del regime in diverse città tedesche.

Nel frattempo però, proprio la Germania ha iniziato a bloccare le procedure d’asilo per i cittadini siriani. Secondo quanto riportato dal quotidiano Der Spiegel, che intervistato un funzionario dell’Ufficio federale per le Migrazioni e i rifugiati tedesco, «la situazione in Siria è poco chiara, e prevedere come evolverà politicamente è troppo difficile». Pertanto, «al momento non è possibile formulare valutazioni affidabili. Altrimenti, ogni decisione sarebbe “su piedi d’argilla”». Il blocco al momento dovrebbe interessare circa 47mila domande d’asilo. Anche in Austria, secondo il quotidiano austriaco Kronen Zeitung tutte le procedure d’asilo in corso verso cittadini siriani dovrebbero essere interrotte, citando fonti del ministero dell’Interno. 

Come cambia lo scenario internazionale la caduta di Bashar al-Assad

Gli avvenimenti siriani sono un colpo importante negli equilibri geopolitici mondiali. Si tratta di una pessima notizia prima di tutto per Vladimir Putin, che ama proporsi come “grande regista” di quello che succede in Medio Oriente, in Africa e nell’est dell’Europa. Il crollo di Assad, che pure ha trovato asilo a Mosca, cambia la posizione della Russia in un momento delicato sia della gestione dei prossimi incontri per cercare di chiudere il conflitto in Ucraina, sia nelle prime fasi di relazione con l’amministrazione americana di Donald Trump.

Anche l’Iran non trae benefici da questa situazione, tutt’altro: il tentativo di una resistenza delle forze “ribelli” ed esponenti islamici non allineati con l’Arabia Saudita e gli Emirati perde un pezzo importante del puzzle. Considerando che gli altri alleati di Teheran in questo progetto sono Hamas ed Hezbollah, oltre agli huthi yemeniti, rimane da capire come i gruppi impegnati nel conflitto con Israele soffriranno ora che hanno perso una linea importante di approvvigionamento di armi attraverso la Siria.

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Chi davvero esulta è Erdogan, che alcuni indicano come regista occulto delle operazioni di conquista lanciate dall’HTS a partire da novembre. Il presidente turco sostiene attivamente alcune fazioni coinvolte in questa fase del conflitto ma non è corso a prendersi i meriti, preferendo invece lanciare un’offensiva estemporanea sui territori siriani al confine con la Turchia controllati dai curdi.

In teoria, i curdi siriani – che, ricordiamo, hanno giocato una parte fondamentale anche nella sconfitta dell’ISIS – sono ancora alleati degli USA. Resta da capire se troveranno ancora sostegno dagli americani dato l’indirizzo che il prossimo presidente ha già dichiarato di voler adottare in politica estera. L’insediamento di Trump alla Casa Bianca ufficialmente avverrà il 20 gennaio 2025: rimane da capire cosa comporterà nei diversi scenari bellici attivi in Medio Oriente.

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