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Gran Sasso, sulla sicurezza dell’acqua che beviamo tanti aspetti ancora da chiarire


Non si tratta di mettere in sicurezza la galleria dall’acqua, bensì il contrario: proteggere il bacino idrico e garantire l’approvvigionamento di un’acqua di altissima qualità. La figura che andava e va individuata è di un esperto idrogeologo degli ammassi carbonatici che possa indirizzare le indagini. 

di Marianna Gianforte

«Sotto al massiccio del Gran Sasso mettano le mani soltanto gli esperti in campo idrogeologico, con un bagaglio di studi, di ricerca, di attività e quindi con le competenze per farlo; che sappiano cosa può esserci all’interno dell’agglomerato di roccia e terra e nel complesso sistema del sottosuolo della cima più alta degli Appennini». Insomma, meno ingegneri e professori di costruzioni idrauliche e più specialisti a lavorare sul complesso sistema del Gran Sasso, intorno e sotto al quale coesistono da decenni i laboratori dell’Istituto nazionale di fisica nucleare, l’autostrada e il prezioso sistema idrico che porta l’acqua nell’Aquilano, nel Teramano e anche nel Pescarese. «Se davvero si vuol fare del bene al Gran Sasso e preservarne gli equilibri idrogeologici e, anche, per evitare di spendere soldi pubblici in consulenze, commissari e progetti più dannosi che utili».

A far notare l’ennesima “gestione all’italiana” di un bene pubblico che per sua natura è a rischio emergenze ambientali, è un conoscitore del settore, che affida ad Abruzzo Sera le sue considerazioni, ma che preferisce restare anonimo. Noi proviamo a contestualizzare le sue parole nell’ambito dell’ingarbugliata questione della messa in sicurezza del Gran Sasso.

Sin dai primi scavi – circa 50 anni fa – per realizzare la galleria autostradale e i laboratori nazionali dell’Infn, che devono convivere con il delicato acquifero della montagna abruzzese, si sono susseguiti, nella gestione del complesso sistema, ingegneri o docenti di costruzioni idrauliche: mai, invece, esperti in campo idrogeologico, come la delicata materia richiederebbe. Una scelta che in passato poteva essere giustificata, «ma oggi – sottolinea il nostro interlocutore – credo sia inconcepibile soprattutto alla luce dei soldi spesi e di quelli che dovrebbero essere spesi (i costi complessivi di messa in sicurezza dell’infrastruttura idrica del Gran Sasso sono stimati in circa 180 milioni di euro secondo il progetto di fattibilità per la sicurezza idrica dell’acquifero proposto dall’ex commissario Corrado Gisonni nel 2022 e che, con l’arrivo del nuovo commissario Pierluigi Caputi arrivano a sfiorare i 300 milioni, ndr)».

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«Addirittura i sondaggi non furono realizzati prima della realizzazione delle gallerie, ma soltanto successivamente arrivarono i tre sondaggi noti (nel 1972 e nel 1974), e quindi a lavori di scavo già avviati. Si trattava di tre sondaggi profondi sulla verticale delle gallerie – spiega la nostra fonte -, denominati ‘Fontari’, ‘Monte Aquila’ e ‘Vaduccio’, e profondi rispettivamente 1.344, 1.612 e 1.004 metri, quindi soltanto dopo l’incidente di Valle Fredda il 14 settembre 1970, quando migliaia di metri cubi di acqua invasero una delle gallerie in costruzione nell’attraversare l’omonima faglia. Oltre ai morti nel cantiere, tale ignoranza dal punto di vista geologico e idrogeologico ha fatto in modo che si entrasse nella parte più alta dell’acquifero, detto ‘alto idrostrutturale’, abbattendo la falda acquifera di 600 metri con il conseguente depauperamento delle sorgenti in quota».

Per compensare il danno arrecato alle sorgenti, l’esperto spiega a questo giornale che «è stata data la possibilità ai gestori degli acquedotti lato teramano (Ruzzo) e aquilano (Gran Sasso) di poter prelevare tale acqua di drenaggio. Tutto ciò ha comportato che i gestori, per via della normativa in materia di derivazioni d’acqua subentrata nel corso degli anni, non potessero arrivare alla concessione di derivazione dell’acqua, cioè alla possibilità di acquisire il diritto al prelievo. Infatti le procedure istruttorie per le due derivazioni si sono fermate all’acquisizione del parere della Asl che, con esito negativo, ha fatto notare l’incompatibilità del prelievo», in base a quanto previsto dall’articolo 94 del decreto legislativo 152 del 2006, «e cioè con la zona di tutela assoluta e di rispetto per i prelievi di acqua ad uso potabile».

«È noto – prosegue l’esperto – che la captazione avvenga con dei dreni che convogliano l’acqua al disotto del piano stradale tra le due gallerie e che i Laboratori di fisica nucleare contengano sostanze pericolose che li fanno rientrare nelle attività di rischio di incidente rilevante di cui alla ex legge detta ‘Seveso’ proprio a causa del triste evento che accadde nel 1976 a Seveso. Quindi, la sfida è poter far coesistere tre situazioni che a rigor di legge non potrebbero coesistere. Di qui l’esigenza di dover mettere in sicurezza il prelievo d’acqua dalla vicinanza di due gallerie stradali nelle quali un incidente di un mezzo che trasporta materiale inquinante comprometterebbe i prelievi e dalla vicinanza dei Laboratori che contengono, in quantitativo molto elevato, sostanze parecchio pericolose».

«Pertanto – sottolinea la nostra fonte – a partire dai due incidenti che si sono verificati nel dicembre del 2001 e il 16 agosto 2002, con lo sversamento accidentale da parte dei Laboratori Infn di trimetilbenzene nel corso d’acqua Gravone, affluente del Mavone, per poi arrivare a essere rilevato anche nelle fontane dei Comuni costieri, la messa in sicurezza divenne una priorità, tanto da arrivare, nel giugno 2003, alla dichiarazione dello stato di emergenza socio-ambientale nel territorio interessato dagli interventi di messa in sicurezza del sistema Gran Sasso a cui seguì, nel luglio 2003, la nomina di Angelo Balducci come commissario straordinario da parte della presidenza del Consiglio dei ministri. Nomina poi prorogata per anni e chiusa soltanto nel 2009. Con gli 80 milioni di euro spesi fu impermeabilizzato soltanto poco più di un chilometro (1,2) delle gallerie, rispetto ai 10 chilometri della loro lunghezza totale, e gran parte dei Laboratori».

L’esperto rileva a questo punto che a prescindere dalle varie inchieste giudiziarie legate ai diversi incidenti che sono avvenuti nel corso degli anni «colpisce che di una problematica così complessa e di carattere prettamente idrogeologico sinora non si siano occupati o comunque non siano stati inseriti nelle strutture commissariali che si sono succedute, gli esperti in campo idrogeologico e più precisamente dell’idrogeologia degli ammassi carbonatici. L’idrogeologia presuppone la conoscenza approfondita di materie quali: la geologia, la geologia strutturale, la geochimica delle acque e di altre materie presenti nel corso di studi in Scienze geologiche, senza considerare che per legge lo studio e la relazione idrogeologica è una materia di competenza esclusiva del geologo professionista. Pertanto, dopo Angelo Balducci, ingegnere dell’ex ministero dei Lavori pubblici, che si è sempre occupato di strade, a seguito dell’istituzione nel 2017 della commissione tecnica per l’emergenza del Gran Sasso, si è avuta la nomina come esperto del professor Roberto Guercio, ordinario di costruzioni idrauliche, che nulla hanno a che fare con la materia idrogeologia. Successivamente è stata la volta di Corrado Gisonni, commissario all’emergenza e anche lui ordinario di costruzioni idrauliche: come se il problema fosse la messa in sicurezza idraulica di un fiume che corre nel Gran Sasso».

L’ultimo commissario straordinario per la sicurezza del sistema idrico del Gran Sasso, in ordine di tempo, è Pierluigi Caputi (settembre 2023), ingegnere, «che non ha alcuna esperienza in campo idrogeologico e nella struttura commissariale sono presenti un dirigente ingegnere senza competenze in campo idrogeologico, due funzionari ingegneri anch’essi senza competenze in campo idrogeologico, un informatico e un amministrativo – ribadisce l’esperto -. Il fatto che non fossero a conoscenza di ben 132 sondaggi per circa 22.300 metri lineari eseguiti per il progetto del terzo traforo, denota quanto meno una notevole superficialità e disinteresse verso l’acquisizione di tutte le informazioni utili all’inizio delle attività di messa in sicurezza, che è il passo propedeutico a tutte le attività, anche allo scopo di optare per eventuali scelte diverse in corso d’opera. Aver appaltato 21 sondaggi, oltre che a costituire ulteriore dispendio di denaro pubblico, contribuisce a creare disagi alla viabilità e, soprattutto, a mettere in pericolo le attuali captazioni. Con il rischio reale di intorbidirle le acque e, quindi, arrivare alla decisione di sospendere i prelievi in un periodo, tra l’altro, di crisi idrica conclamata, tanto che la Regione Abruzzo ha effettivamente richiesto lo stato di emergenza per crisi idrica».

 



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09 Dic 2024





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