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Il “salotto buono” come dormitorio, viaggio tra i senzatetto nel centro di Torino – Torino Cronaca


William ha 50 anni e li ha passati quasi tutti a provare ogni tipo di droga. Serena dice che non l’ha mai neanche assaggiata. Ma intanto si è «persa». Piero è finito in strada dopo che è mancata sua mamma, Francesca quando ha perso il lavoro. Ha solo 33 anni, una voce dolce e i classici sogni di una ragazza della sua età. Più uno: «Trovare un monolocale per non stare più qui fuori».

Ecco chi sono gli abitanti dei portici fra via Cernaia e via Roma, il “salotto buono” di Torino a due passi dal Comune e dagli altri palazzi del potere, della finanza e del lusso. Dove il biglietto da visita della città, sotto alcune delle bellezze più fotografate, sono decine di senzatetto. Di solito, in queste serate gelide di dicembre, restano a riscaldarsi sotto diversi strati di coperte. Ma il venerdì fa eccezione, da dieci anni esatti: perché Roberto Marcon, Emanuela Giacometto e i loro cinque figli arrivano carichi di cibo, vestiti e di tutto quello che i clochard chiedono loro di portare.

Davanti alla banca

Così, tra le 21 e le 23, 50-60 persone lasciano i loro giacigli e si presentano all’angolo fra via Cernaia e corso Palestro. Oppure in piazza San Carlo, proprio davanti alla storica sede della banca Intesa San Paolo. E pensare che sono solo una parte dei 200 che, secondo il Comune, sono sparsi per la città. Ma sono anche il quadruplo rispetto a quando la famiglia Marcon ha iniziato ad aiutarli. E oggi sono pochi i “clienti” abituali che saltano l’appuntamento fisso del venerdì sera. Perché non vogliono rinunciare a quel piatto caldo e diviso apposta per loro in singole porzioni. Hanno bisogno di quello e di tutto il resto che portano Emanuela e Roberto, spesso prendendo le “ordinazioni” da una settimana all’altra. E intanto si sfogano e si raccontano con chi li aiuta. Ma qualcuno accetta di raccontare la sua storia al cronista.

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«Sono un ex tossicodipendente, ho buttato la mia vita tra cocaina, eroina e tutto il resto – si volta indietro William, che ha 50 anni – Ora ho smesso e sono pulito ma mi porto dietro gli strascichi di quello che ho fatto. Non diventerò anziano, anche perché non ho accumulato i contributi per andare in pensione. Quindi dico ai ragazzi di sballarsi con lo studio, lo sport e la fidanzata: la droga porta solo disperazione e guai. Cocaina e crack non si possono gestire, sono fatte solo per consumare i soldi tuoi, dei tuoi genitori e di chi riesci a derubare». Accanto a William c’è Pino, che ha la stessa età ma una barba lunga e grigia che lo fa sembrare più anziano: «Venire qui è triste ma ne ho bisogno perché sono disoccupato dopo aver fatto i Cantieri di lavoro in Comune. Almeno ora ho la casa popolare». Serena ha 37 anni e spiega che vive per strada insieme a un compagno che la fa «disperare». Sospira, parla con un filo di voce e tanta rassegnazione. E, con una sola frase, riassume la condizione sua e di tante altre persone che vivono in strada: «Mi sono persa e sono finita qui».

«Meritano il Nobel»

Mentre William, Pino e Serena chiacchierano, altri clochard scelgono pantaloni, giacche e scarpe. Sono quasi tutti italiani, con una maggioranza di uomini. Certi sono giovani, altri mostrano i segni dell’età e del tempo passato senza un tutto sopra la testa. E c’è anche qualche ragazza che arriva al luogo dell’appuntamento portandosi dietro tutti i suoi averi, dai borsoni ai sacchi a pelo. Quindi iniziano ad addentare fette di torta e a bere caffè caldo. Francesca preferisce il tè, portato da un paio di signore che ogni tanto “imitano” i Marcon: «Da poco più di un anno sono una senzatetto e disoccupata – ammette la 33enne con il calore che le esce dalla bocca, praticamente l’unica parte del viso che non è coperta da berretto e sciarpona – Il destino ha deciso che io viva a San Salvario ma sogno di trovare un monolocale e un lavoro che mi possa gratificare. Poi non sarebbe male fare qualche viaggio. Intanto ringrazio chi mi dà una mano, è un aiuto preziosissimo».

A qualche metro di distanza, Piero prende qualcosa e lo infila in una vecchia borsa della Juventus: «In realtà sono dell’Inter ma questa mi serve» sorride rivolto al cronista. Poi si commuove se pensa a come sia finito a vivere sotto i portici di corso San Martino, accanto a Porta Susa: «Dormire fuori è stata una mia scelta dopo che è mancata mia mamma». E per mangiare? «A parte il venerdì sera, vado nelle mense per i poveretti: dovrebbero dare il premio Nobel a chi le ha inventate e dà una mano a chi è messo male come noi». E sono sempre di più: «Sì, anche se a tavola trovo spesso gente che si lamenta ma ha la casa, la pensione e la tredicesima. Dovrebbero evitare di venire perché c’è anche chi non ha proprio niente».





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