Il discorso alla città di monsignor Mario Delpini: «La gente non è stanca della vita, ma di una vita senza senso e di un lavoro che non basta per vivere. La ricchezza onesta è responsabilità sociale, i ragazzi si chiedono se vale la pena diventare adulti»
«Dagli incontri che mi è dato di vivere, dalle confidenze che raccolgo mi sono convinto che si può riconoscere come uno dei sentimenti diffusi una sorta di spossatezza, come di chi non ce la fa più e deve continuare ad andare avanti. Ecco: la stanchezza mi sembra un punto di vista per interpretare la situazione». Parte da questa fotografia senza filtri della realtà, l’analisi che l’arcivescovo Mario Delpini propone per il messaggio alla città per la festa del Santo patrono.
Il punto di partenza del Discorso di quest’anno, intitolato «Lasciate riposare la terra», è la nitida percezione di uno stato d’animo collettivo cupo che l’arcivescovo definisce esplorando in modo dettagliato molti aspetti della contemporaneità milanese. Senza rinunciare a un messaggio di speranza («Dio che accompagna il cammino tribolato dei suoi figli e non li abbandona mai») ma neanche a un’esplicita esortazione a «sentire il compito di procurare sollievo», rivolta a chi ha responsabilità per il bene comune: «Abbiate compassione di voi stessi, dei vostri contemporanei, dei vostri figli e trovate il modo di far riposare la terra».
«Stanchi di un lavoro che non basta per vivere»
«Di che cosa è stanca la gente?», si chiede retoricamente Delpini, all’inizio di una sorta di indagine sociale costruita – secondo il suo stile – attraverso tante domande. «La gente non è stanca della vita. La gente è stanca di una vita senza senso – inizia -, che è interpretata come un ineluttabile andare verso la morte. È stanca di una previsione di futuro che non lascia speranza».
Poi c’è il lavoro: «La gente è stanca di un lavoro che non basta per vivere, di un lavoro che impone orari e spostamenti esasperanti. La gente è stanca degli incidenti sul lavoro. La gente è stanca di constatare che i giovani non trovano lavoro e le pretese del lavoro sono frustranti». Con identica circolarità, l’arcivescovo tocca molti aspetti della convivenza: la famiglia, affaticata dalla «frenesia che si impone con l’accumularsi di impegni e delle prestazioni necessarie per costruire la propria immagine» e da «quell’impotenza di fronte a un clima deprimente che avvelena i pensieri, i sogni, le emozioni dei più fragili, che induce tanti adolescenti a non desiderare la vita; l’amministrazione e la politica, che al di là della «successione irritante di battibecchi» e della «gestione miope della cosa pubblica» genera stanchezza per via dei «servizi pubblici che costringono a ricorrere al privato», «di un’amministrazione che non sa valorizzare le risorse della società civile», «del pettegolezzo che squalifica le persone».
E ce n’è – come sempre – anche per l’informazione, perché secondo Delpini «la gente è stanca di quella comunicazione che raccoglie la spazzatura della vita e l’esibisce come se fosse la vita, stanca della cronaca che ingigantisce il male e ignora il bene, stanca dei social che veicolano narcisismo, volgarità e odio». Quindi l’appello: «Per favore, lasciate riposare la gente».
L’attacco al degrado e al turismo di massa
In sintonia con il messaggio reiterato da Papa Francesco, le questioni ambientali trovano ampio spazio nel Discorso di Sant’Ambrogio: «La terra è stanca di quel modo di vivere il presente che non si cura del futuro e delle minacce del deserto, del calore, dell’aria che respireranno le generazioni a venire», è «stanca della guerra» e «della stupidità che avvelena le acque e l’aria». Però dietro a tutto ciò ci sono comportamenti umani, miopie e nevrosi, come quella per gli «animali che invadono in modo sproporzionato le case, gli affetti, le risorse, il tempo della gente e sembra talora che prendano il posto dei bambini».
Ma a rendere «stanca» un’intera città, secondo Delpini, contribuisce molto l’incuria che si trascina nel tempo in diversi ambiti: «La città è stanca delle case abbandonate al degrado, del consumo avido del suolo, delle aree inutilizzate, delle case che potrebbero ospitare persone e che sono invece vuote per calcoli meschini, per paura verso chi cerca un’abitazione, per evitare fastidi. La città è stanca delle case occupate e sottratte a chi ne ha diritto – dice l’arcivescovo -. La città è stanca dei turisti che l’affollano senza rispetto, che invadono le case con passaggi rapidi e la spopolano di residenti», e poi «di quell’acqua che esonda e invade case e negozi, blocca strade e fa impazzire il traffico», e «di quel vento che sradica gli alberi e li scaraventa su passanti, strade, auto». Insomma, «la città è stanca di quella superficialità che trascura quanto può prevenire alluvioni, incendi e i disastri che ne vengono».
«La gente è disperata, la ricchezza onesta è una responsabilità sociale debiti in sospeso»
Cogliendo come spunto il Giubileo indetto dal Papa per il 2025, Mario Delpini propone alcuni «possibili passi coraggiosi e interventi significativi per aggiustare il mondo». Il primo è «il condono dei debiti dei poveri», quelli generati da redditi da lavoro insufficienti e da esistenze precipitate nella disperazione: «Faccio appello a considerare con serietà le vie per il condono dei debiti, per forme di alleanza, di mutuo soccorso, di ripensamento del sistema bancario, perché troppa gente è disperata e troppe situazioni favoriscono l’immissione di denaro sporco e condannano a entrare negli ingranaggi perversi dell’usura». Ma con una puntualizzazione etica: «C’è anche un debito dei ricchi. Chi si è arricchito
con la sua intraprendenza, grazie alle condizioni favorevoli, traendo vantaggio dalla collaborazione di molti o dalla vicenda familiare è in debito verso coloro che si sono impoveriti. La ricchezza onesta è una responsabilità sociale».
A questo proposito l’arcivescovo addita le «ricchezze maledette» e indica alla platea di istituzioni e cittadini che riempie le panche della Basilica di Sant’Ambrogio alcune «cose che possono fare coloro che hanno ricchezze»: condizioni di lavoro sicure, remunerazione adeguata, riqualificazione delle aree dismesse, investimenti in ecologia integrale, cura della famiglia e degli anziani soli, un volontariato rinnovato «per passare dall’elemosina alla condivisione; dal dono di cose al dono di sé, dal gesto occasionale allo stile di vita». E soprattutto, «in occasione del cinquantesimo anniversario di Caritas Ambrosiana», offre l’«impegno la Diocesi di Milano perché, insieme a tutti coloro che hanno una responsabilità in questo ambito, venga promossa un’opera significativa su un tema particolarmente urgente come quello della casa per tutti».
La cura
«Alcune delle professioni più direttamente dedicate al bene delle persone sono diventate particolarmente faticose e inadeguatamente retribuite», sottolinea Delpini, e passa in rassegna la fragilità del lavoro nel campo dell’educazione, mentre i ragazzi si possono chiedere se «vale la pena diventare adulti, se gli adulti sono così spesso scontenti, arrabbiati, incapaci di dire una parola che benedica la vita?».
Poi parla del sistema socio-sanitario e ricorda che «la comunità che agisce per un’autentica promozione della salute non deve dimenticare le cause sociali della malattia, prediligendo i più fragili, perché non ricevano solo risposte emergenziali ma anche di prevenzione e cura nella cronicità e progettando interventi incentrati sull’equità». Così come, secondo Delpini c’è bisogno di educazione alla pace e alla «cura della terra e della città».
E, quasi a voler fugare ogni dubbio sul tono del suo messaggio, conclude con un’ulteriore esortazione: «Lasciare riposare la terra non significa scegliere di assentarsi dalla storia o immaginare un periodo di semplice inerzia. Al contrario, si tratta di un esercizio fortemente attivo: chiede di raccogliere tutte le energie per evitare di continuare a fare quello che si è sempre fatto e riuscire a sospendere le abituali azioni per ascoltare e cogliere il grido di aiuto che si eleva dalla terra».
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