Sono quasi le 8 di un lunedì autunnale che inizia profumare d’inverno. Arriviamo alla Stazione Centrale di Milano e il nostro treno per Zurigo, come da programma, parte alle 8:10. Non un minuto dopo, non un minuto prima: la direzione è quella giusta. La giornata è grigia e a tratti lugubre fino a Lugano, ma sul versante opposto della montagna – una volta usciti da una lunga galleria – le condizioni meteorologiche cambiano completamente: il cielo è di quel blu che in Pianura Padana vediamo forse due volte l’anno, le montagne sono innevate, il verde dei prati brilla di luce propria. All’altezza di Sisikon, paesino di quasi quattrocento abitanti nel Canton Uri, il treno sfiora l’acqua del lago dei Quattro Cantoni in uno scenario degno di una cartolina. Poco dopo vediamo la neve anche a valle, accarezziamo il lago di Zug e arriviamo a destinazione alle 11:27 “spaccate”.
Le vie attorno alla stazione di Zurigo pullulano di boutique e store di brand internazionali. Le persone sono eleganti, è tutto particolarmente ordinato, ci rendiamo subito conto di essere nella città che, classifiche alla mano, è prima in Europa per qualità della vita e prima al mondo (assieme a Singapore) per costo della vita. Per superare la parte più anonima e standardizzata di Zurigo ci vuole poco: è sufficiente spostarsi a piedi verso il fiume Limmat e il lago, inserito in una splendida cornice fatta di montagne (spesso non si vedono a causa della foschia, ma noi – secondo tutte le persone con cui abbiamo parlato – siamo stati fortunati).
Zurigo è un posto in cui, nel giro di un paio di chilometri, incontri stradine che ricordano i borghi di montagna e una futuristica passerella pedonale che attraversa i binari della stazione. Dai sampietrini del centro storico si passa rapidamente all’atmosfera urban e un po’ hipster del quartiere riqualificato che ospita la sede di Google, moderni studentati ed eleganti ristoranti etnici. È una città che guarda all’innovazione del Nord Europa senza perdere il contatto con la sua storia pre-medievale.
Ritirata la nostra Zürich Card, indispensabile per visitare la città in modo flessibile (sono inclusi i mezzi pubblici e il bike sharing, musei gratis o a prezzo agevolato, visite guidate, highlight culturali e tanto altro), pranziamo velocemente con una caesar salad prima di bere un caffè con David Minoretti, marketing e Pr manager di The Living Circle, il gruppo di cui fa parte l’albergo che ci ospiterà per la notte: l’hotel Storchen, affacciato sul fiume Limmat e orgogliosamente plastic neutral; in più, come in tutte le altre strutture della collezione, ricava il cento per cento della sua elettricità da fonti rinnovabili (solare, eolico, idroelettrico).
L’appuntamento è al bar Barchetta, all’interno dell’albergo, dove Minoretti ci illustra la filosofia del brand, un ibrido tra una catena di hotel e una fattoria. The Living Circle sta infatti cercando di ridefinire il concetto (abusato) di lusso, combinando agricoltura e hospitality. Per esempio, il gruppo gestisce anche la Cantina alla Maggia, tenuta agricola e vinicola di centocinquanta ettari ad Ascona specializzata – tra le altre cose – nella coltivazione di riso e mais. Tutti questi prodotti vengono distribuiti anche all’interno degli alberghi di The Living Circle, contraddistinti da colazioni ricche di alimenti del territorio (miele, uova, pane, latte e yogurt) e rispettosi dei principi di stagionalità.
Nel pomeriggio è il momento del Made in Zurich Tour, una camminata (guidata) di un paio d’ore alla scoperta delle botteghe e dei negozi cittadini votati all’ecosostenibilità. È qui che ci accorgiamo di quanto l’ecologia e il rispetto delle materie prime siano sinceramente alla base del Dna di Zurigo, che a novembre 2024 è diventata la prima città svizzera a ottenere la certificazione EarthCheck Silver per il turismo sostenibile (settantasei indicatori quantitativi e trecentosessantasei criteri qualitativi). «Ma non ci accontentiamo. Questo premio ci incoraggia a coinvolgere ancora più partner nel nostro percorso di sviluppo sostenibile e a rendere la sostenibilità un’esperienza concreta», dice Thomas Wüthrich, direttore di Zurigo Turismo.
Iniziamo dalla stazione con il flagship store di Soeder, brand svizzero di prodotti per la pelle cento per cento naturali di cui visiteremo il polo produttivo il giorno seguente. Ci spostiamo sulla strada – incredibilmente silenziosa – che corre di fianco ai binari, dove diamo un’occhiata agli store di Zuriga (realizzano macchinette del caffè di design facili da riparare a casa) e Reseda (brand di arredo), e assaggiamo un pezzo di raclette al Stadtkäserei und Restaurant, una via di mezzo tra un ristorante e un caseificio che organizza cene aziendali e workshop per realizzare formaggi fai-da-te.
Dall’altra parte dei binari l’atmosfera urban si fa più fitta. Ci immergiamo nello store di Die Macherei, un negozio di articoli di design che vanta una sala in cui i clienti possono comporre il proprio terrarium, termine che indica le piante in vetro pensate per chi non ha il pollice verde: necessitano solamente di qualche goccia d’acqua (nemmeno tutti i giorni) e di una leggera potatura una volta ogni uno-due mesi, e non vanno esposte direttamente al sole. Ricordiamo che a Zurigo, a una ventina di minuti a piedi dalla stazione, c’è anche il flagship store di Freitag, composto da diciannove container arrugginiti impilati gli uni sugli altri (con tanto di vista panoramica in cima). Prima di salutare la guida torniamo verso la stazione attraversando uno dei tanti mercatini di Natale della città, decisamente diversi (più moderni, originali e integrati nel tessuto urbano) rispetto a quelli italiani.
Mentre rientriamo in hotel per una doccia iniziamo a riflettere sulla mobilità nella città svizzera. Le persone in auto sono tante anche in centro, ma procedono a velocità ridotta e rispettano gli utenti più vulnerabili della carreggiata. L’amministrazione comunale, non a caso, vuole rendere quasi tutte le strade “a trenta all’ora” entro il 2030, terminando un processo graduale iniziato nel 2012. Vicino al fiume notiamo sciami di ragazzi e ragazze che pedalano su biciclette a scatto fisso coloratissime, sfrecciando su corsie ciclabili ben segnalate e dotate di semafori ad hoc per i ciclisti. Il punto forte, però, è la rete del trasporto pubblico locale: straordinariamente capillare ed efficiente.
Per andare a cena, però, scegliamo volutamente di non prendere l’autobus ma di camminare una quarantina di minuti per goderci gli angoli più nascosti della città. Destinazione: The Artisan, ristorante e «urban garden» che utilizza un’innovativa biocompostiera aerobica per combattere lo spreco alimentare. Questa tecnologia trasforma gli scarti di cibo in compost nel giro di ventiquattro ore, nel rispetto dell’economia circolare; il merito è dell’azione di una serie di microrganismi che operano in ambienti ricchi di ossigeno, ossia nelle condizioni ideali per ottenere del fertilizzante organico dai rifiuti. Come prima portata prendiamo una tempura di verdure dell’orto (biologico), seguita da un piatto di delicati gnocchi di zucca. Andiamo a letto col sorriso, la pancia piena e venticinquemila passi nell’app “Salute” dell’iPhone.
La mattina seguente c’è ancora bel tempo, nonostante qualche nuvola qua e là. Dopo una colazione vista fiume all’hotel Storchen, camminiamo una ventina di minuti per raggiungere il Museo Nazionale di Zurigo, dietro la stazione, dove visitiamo una mostra (aperta fino al 19 gennaio) sul ruolo della Svizzera nel colonialismo. Poco dopo torniamo verso l’albergo per iniziare un tour che toccherà un mercatino di Natale vicino al Lago, proprio di fronte a Opernhaus Zürich (il teatro dell’opera), e la città vecchia di Zurigo, dal sapore decisamente medievale.
Verso l’ora di pranzo torniamo nei pressi della stazione per prendere il bus 31 in direzione Werkstadt Zürich, l’ex officina principale dei treni delle Ferrovie Federali Svizzere (Ssb) che si sta trasformando in un polo produttivo all’avanguardia per startup e aziende di vario genere. L’area non va concepita come un singolo elemento, ma come un nuovo quartiere di quarantaduemila metri quadrati – attraversato da binari dismessi ma ugualmente affascinanti – soggetto a un imponente processo di riqualificazione. Il progetto è ancora in fase di realizzazione, ma diversi brand hanno già stabilito qui sia gli uffici, sia i reparti produttivi. È il caso del già citato Soeder, che dà vita in questo spazio ai suoi articoli (creme, balsami, saponi per corpo e mani, shampoo, gel disinfettanti e molto altro) privi di additivi tossici e superflui.
Il polo produttivo di Soeder è oggettivamente un bel posto dove lavorare. L’open space è ampio, strutturato su due piani e dominato da rilassanti colori pastello. Ci sono “box” insonorizzati per le riunioni, le stanze dei chimici (visibili dall’esterno grazie a vetri trasparenti) e tante aree comuni. Tutto è interconnesso senza forzature, nella speranza di creare sinergie nuove tra diverse figure professionali. Così, i graphic designer e gli addetti al marketing possono affacciarsi alla ringhiera e scambiare due chiacchiere con gli operai al piano inferiore. In più, i clienti possono portare da casa le bottiglie vuote per riempirle direttamente in sede ed evitare sprechi (esistono più di centotrenta punti di refill di Soeder in tutta la Svizzera).
Dopo aver visitato la fabbrica e gli uffici, incontriamo Hanna Olzon kerström e Johan Olzon kerström, i fondatori di Soeder (nato nel 2013), assieme al loro cane Casper: «Siamo svedesi, infatti Soeder è un nome originario nel nostro Paese. Ci siamo trasferiti in Svizzera separatamente, senza conoscerci. Ci siamo incontrati qui e ci siamo innamorati qui. Questo brand è un po’ come se fosse nostro figlio, il risultato della nostra storia d’amore. Ricordo la prima volta in cui abbiamo venduto i nostri prodotti: erano venti bottiglie distribuite in un mercatino di Natale. Alla fine della giornata erano finite, le avevano comprate tutte», raccontano con soddisfazione.
Lasciamo la factory di Soeder per tornare in centro e pranzare rapidamente ai mercatini di Natale dietro la stazione, dove i bagni pubblici sono pulitissimi ma costano la bellezza di 1,50 euro (accettano la carta di credito). È giunto il momento di rientrare. Nel tratto svizzero il treno è in perfetto orario, ma a Chiasso siamo costretti a scendere – saltando in fretta e furia su un Trenord diretto a Milano Garibaldi – a causa di un guasto alla linea nei pressi della stazione di Milano Centrale. Bentornati in Italia.
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