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solo nel Lazio 142mila studenti in meno entro il 2035


Il termine usato è un neologismo preso a prestito dal demografo Alessandro Rosina: «degiovanimento». Un effetto particolarmente perverso della crisi demografica. Vale a dire la perdita dei giovani, del capitale umano necessario alla crescita del Paese. Nel suo rapporto annuale, presentato ieri dal direttore generale Luca Bianchi, la Svimez ha spiegato quanto grave sia ormai questo fenomeno. Lo ha fatto andando ad analizzare cosa accadrà da qui ai prossimi dieci anni in quella fascia di età, 5-14 anni, che costituisce il primo serbatoio dell’istruzione. Il calo sarà drammatico e metterà a rischio la sopravvivenza di ben 3 mila scuole primarie in tutta Italia. Al 2035, spiega il Rapporto, la riduzione di studenti è stimata del 21,3 per cento nel Mezzogiorno, addirittura del 26 per cento nelle regioni del Centro e del 18 per cento nelle regioni settentrionali. Le tabelle pubblicate sono impietose. Solo il Lazio nei prossimi dieci anni perderà 142 mila bambini in questa fascia di età. Nessuno farà peggio. La Campania ne avrà 122 mila in meno, il Veneto 96 mila, la Sicilia 89 mila, la Puglia 84 mila, l’Abruzzo 28 mila, le Marche 32 mila. Il segno più non c’è per nessuna Regione. Le conseguenze si faranno vedere. Per la scuola primaria, spiega ancora il Rapporto, il rischio chiusura è concreto in 3mila Comuni con meno di 125 bambini, numero sufficiente per una sola “piccola scuola”: il 38 per cento del totale dei Comuni localizzati soprattutto nelle aree interne.

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IL PASSAGGIO

Il problema non è solo che i giovani iniziano a scarseggiare. Ma pure che quelli che ci sono si danno alla fuga. I laureati del Sud prendono l’autobus per trasferirsi al Nord, anche se ora molti stanno tornando e lavorano in smart working. I laureati settentrionali si imbarcano su un aereo per andare all’estero. In dieci anni quasi 140 mila giovani si sono trasferiti per lavoro in un altro Paese, e altri 200 mila hanno lasciato le Regioni del Mezzogiorno per cercare fortuna nel Nord Italia. Più che l’immigrazione, la vera emergenza è l’emigrazione. Il contrasto al gelo demografico, spiega la Svimez, necessita di politiche di lungo periodo orientate al rafforzamento del welfare familiare, degli strumenti di conciliazione dei tempi di vita-lavoro, dell’offerta dei servizi per l’infanzia, dei sostegni effettivi ai redditi e alla genitorialità, superando la frammentarietà degli interventi.

Ma come sta andando l’economia del Mezzogiorno? Per il secondo anno consecutivo è cresciuta più di quella del Centro-Nord. Ma secondo le previsioni della Svimez, nel 2025 tornerà in coda al vagone. Si vedrà se effettivamente sarà così. Per ora il Sud si sta dimostrando più bravo anche nel mettere a terra gli investimenti del Pnrr. A sfavore gioca invece la legge di bilancio che taglierà le risorse per il Mezzogiorno di 5,3 miliardi di euro in tre anni. Il mancato rinnovo di Decontribuzione Sud a favore delle imprese private rischia di costare, da solo, 25 mila posti di lavoro e due decimi di crescita del Pil meridionale, secondo le stime della Svimez. Pesano poi i tagli al sostegno ai redditi, in regioni dove la ripresa del lavoro negli ultimi anni non è bastata a ridurre la povertà. Anzi, sempre più spesso vive in indigenza anche chi ha un impiego, come 1,4 milioni di lavoratori poveri. «È necessaria una visione strategica per il Mezzogiorno. La premessa è che dalla pandemia in poi il Sud ha mostrato segnali di vitalità non indifferenti. Segno di una capacità competitiva e dell’esistenza di un potenziale di sviluppo che va liberato e accompagnato», ha detto Natale Mazzucca, vice presidente di Confindustria con delega per il Mezzogiorno.

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Se poi anche sarà superiore, non è che la crescita del Nord viaggi a ritmi particolarmente elevati. Anzi. Anche la ex locomotiva arranca. Tanto che la legge sull’autonomia differenziata, per il presidente della Svimez, Adriano Giannola è «la fuga disperata del Nord per la sua crisi» e «dice: prendo tutto e scappo». Dopo la pronuncia della Corte costituzionale, secondo l’associazione, la riforma va fermata. Il Mezzogiorno è una «priorità assoluta» per il governo, ha assicurato il ministro per la Protezione civile, Nello Musumeci, ma ha aggiunto che «non sempre vuole cambiare» tra «fatalismo, rassegnazione, riluttanza verso la formazione e familismo esasperato». Ma questo questo un quadro che appartiene al passato per il presidente dell’Anci, Gaetano Manfredi.

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