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Campania e Sud, crescita a rischio frenata


NAPOLI. Sale l’occupazione, ma non cala la povertà delle famiglie, il “non lavoro” e la precarietà diffusa che resta elevata: il 36%. Peggio fa solo la Sicilia con il 38%. L’economia cresce comunque dello 0,8% rispetto allo 0,7% del Centro-Nord ma dal 2025 la crescita potrebbe rallentare a causa del rientro dalle politiche di sostegno alle famiglie e agli investimenti.

L’emergenza resta l’emigrazione, soprattutto dalle aree interne (Sannio, Alto Casertano e Avellinese) che si spopolano mettendo a rischio l’istruzione primaria. La Campania tuttavia non resta un deserto industriale. Per contributo a valore aggiunto e occupazione il peso resta rilevante in alcuni settori trainanti, come agroindustria, cantieristica, aerospazio, edilizia e automotive, nonostante il calo della produzione del 6% a Pomigliano.

È soprattutto quest’ultima filiera che regge il passo con quasi 10 miliardi di valore aggiunto e 100 mila occupati. È questa la fotografia che emerge dal 51esimo Rapporto Svimez. Le analisi confermano tuttavia il ruolo di stimolo del Pnrr alla crescita dell’area, ma evidenziano anche la necessità di accompagnare il ciclo d’investimenti in infrastrutture economiche e sociali con un rilancio sia delle politiche industriali rivolte al rafforzamento del tessuto produttivo locale e alla Zes unica, sia di contrasto al gelo demografico: secondo gli analisti di Svimez necessitano politiche di lungo periodo orientate al rafforzamento del welfare familiare, degli strumenti di conciliazione dei tempi di vita-lavoro, dell’offerta dei servizi per l’infanzia, dei sostegni effettivi ai redditi e alla genitorialità, superando la frammentarietà degli interventi. L’emergenza non è pertanto l’immigrazione ma lo spopolamento dei territori.

QUALE POLITICA INDUSTRIALE. Da qui, ha rilevato Luca Bianchi, direttore Svimez, la necessità di mettere in campo una politica industriale e territoriale più ambiziosa, declinata attraverso strumenti utili ad attivare processi di trasformazione strutturale e creare occasioni di lavoro qualificato. «Non si tratta solo di assicurare risorse adeguate, ma di adottare un’impostazione orientata all’identificazione e al supporto delle priorità produttive e delle specializzazioni strategiche».

Il superamento dell’impostazione orizzontale delle politiche industriali degli ultimi decenni impone anche una riflessione sotto il profilo degli strumenti, andando al di là degli incentivi senza vincoli di destinazione settoriale. «La distribuzione territoriale degli incentivi dei Piani Transizione 4.0 e 5.0 dipende dalle capacità ex ante delle imprese (struttura, organizzazione, dimensione) di intercettarli, consolidando il tessuto industriale esistente nelle aree forti, ma pregiudicando l’attivazione di un vero processo di cambiamento strutturale nelle regioni deboli. Per conciliare gli obiettivi di competitività e coesione andrebbero inoltre rafforzati gli interventi discrezionali e selettivi in filiere strategiche a elevato valore aggiunto: Fondo per la crescita sostenibile, Accordi di Innovazione, Ipcei, Cdp Venture capital, Contratti di Sviluppo».

L’AUTONOMIA DIFFERENZIATA VA FERMATA. I rilievi della Corte Costituzionale confermano molte delle critiche avanzate in questi anni dalla Svimez e colpiscono di fatto i punti cruciali della Legge 86/2024: possibilità di devolvere intere materie; derubricazione dei Lep a meri adempimenti amministrativi; svilimento del ruolo del Parlamento.

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L’istituto romano riconosce nelle osservazioni della Corte la contrarietà a una idea divisiva del Paese, incurante dei divari di cittadinanza e basata sulla conflittualità tra Stato e Regioni e tra cittadini dei diversi territori. Il richiamo della Corte non può rimanere inascoltato, le trattative con le Regioni richiedenti maggiori autonomie andrebbero sospese. Il percorso verso una maggiore autonomia deve essere riportato all’interno di un’ordinata attuazione del federalismo simmetrico, basato sui princìpi, inderogabili, della sussidiarietà verticale e orizzontale e della solidarietà nazionale.

Un percorso che deve necessariamente partire dal superamento delle iniquità della spesa storica, attraverso una compiuta assicurazione di livelli essenziali delle prestazioni basati su fabbisogni e costi standard, e dalla garanzia di un fondo di perequazione in grado di rimuovere i divari territoriali nella dotazione di infrastrutture economiche e sociali.

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