La città sottosopra. Di qua l’estasi, di là il tormento. Una forbice così larga, tra Lazio e Roma, non si era mai vista dopo 13 giornate: addirittura 15 punti di scarto in favore dei biancocelesti. Un’enormità, è una differenza di più di un punto a partita. Procedono in direzione ostinata e opposta, le romane, e nessuno aveva previsto una stagione così, anche se a guardare retrospettivamente la scorsa estate tutto sembra assumere un senso, invece. Sono il giorno e la notte, lo zenit e il nadir.
Il giorno è la Lazio che non si accontenta del secondo posto in nutrita compagnia, ma dà addirittura spettacolo, si difende attaccando, è ben più offensiva e leggera dei tempi di Sarri (che comunque portò un secondo posto, appena un anno e mezzo fa) e non aveva tanti punti in classifica dal 2017-2018, Simone Inzaghi regnante. La notte è rappresentata dalla Roma mestamente dodicesima, che non vinceva così poche partite da 46 anni (con la prima maglia Pouchain, in panchina prima Giagnoni poi Valcareggi) e non aveva così pochi punti da 20 stagioni (annata 2004-2005, o dei quattro allenatori). La classifica è esaltante vista da Formello, una crudeltà assoluta dal mondo alla rovescia di Trigoria; ha un suo senso tragicamente espressionista nell’evidenziare i diversi cammini, e le capacità nell’affrontarne gli inciampi.
Sono agli antipodi, i due club, e lo sono stati anche nella fase di preparazione a questa stagione fatale, il che può suggerire qualcosa. È stato in ogni caso un anno straordinario e lo dice l’enormità del numero, 7, degli allenatori che abbiamo visto in città da gennaio a oggi: Sarri, Tudor e Baroni alla Lazio; Mourinho, De Rossi, Juric e Ranieri alla Roma. Ma in estate, con provvida lucidità, a Formello si sono liberati in fretta dell’equivoco Tudor in favore di Baroni, un giovane vecchio con un gran passato davanti a sé, e intanto Lotito metteva a punto l’inevitabile, e forse ritardata di un anno, rivoluzione culturale. Mentre il pubblico contestava e disperava nel futuro, alla Lazio si appurava che i grandi senatori ormai erano diventati un peso e ci si apriva a nuova linfa, nuove idee, con la collaborazione di un ds italianissimo come Angelo Fabiani, navigatore dei sette mari del mercato. Non si aspettavano neppure loro un exploit simile, al massimo lo auspicavano, ma è un fatto che la catena di comando tutta italiana, e con dirigenti ben presenti sul pezzo, sia stata di aiuto alle felici intuizioni di Baroni.
Parallelamente, alla Roma tutto diventava invece più sfumato, distante, confuso, stranger in the night. Gran contratto a De Rossi ma senza crederci troppo, errore gravissimo di Friedkin che intanto non mette piede in città da mesi, come se quaggiù fossimo ghermiti da una nube tossica; l’urgente rivoluzione di idee e giocatori ferma alla sola cessione di Lukaku, col brutto scivolone sull’affaire-Dybala e un mercato grigio perché affidato all’imberbe e spaesato francese Ghisolfi. In più l’assenza di un dirigente in capo e sul campo, altra misteriosa mancanza che dura ormai da due mesi. Così la Roma è sprofondata coi suoi equivoci, Dybala il più vistoso, Pellegrini il più angoscioso, e ha assommato tre allenatori in 13 giornate di passione.
È tutto e sempre un problema di identità. Semplicemente, o la si ha o non la si ha. Al di là di come proseguirà il campionato, e siamo qui a implorare Eupalla che faccia rialzare la Roma e mantenga la salute alla Lazio, l’identità dei biancocelesti è certa, impersonata com’è da Lotito, pur con tutti i suoi spigoli e le sue controversie; quella dei giallorossi è via via più impalpabile, e se non altro è tornato Ranieri a impossessarsene, a farne vessillo. Speriamo che dopo aver tolto la squadra da quella zonaccia di classifica (ora è solo a +3 sulla terzultima), il mister guidi il cambiamento di rotta ormai necessario nel club. La Roma ne ha urgente bisogno, stagioni come queste sono un monito che non si può sottovalutare. Alla fine della disgraziata annata 1978-1979 che abbiamo evocato, alla Roma tutto cambiò. Il club passò da Anzalone a Viola, che chiamò in panchina Nils Liedholm, poi dal mercato tornò Bruno Conti e arrivarono Carlo Ancelotti e Franco Tancredi. L’anno successivo fu Coppa Italia e l’inizio del ciclo della grande Roma. Cambiare si può, quando si deve.
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