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Strage di San Marco, si stringe il cerchio attorno ai montanari. Possibile svolta nelle indagini


Possibile svolta nelle indagini sulla strage di San Marco in Lamis del 9 agosto 2017. Quel giorno un commando di almeno tre persone più un basista, uccise il boss di Manfredonia, Mario Luciano Romito, il cognato Matteo De Palma e i contadini Aurelio e Luigi Luciani, gli ultimi tre estranei a contesti criminali. Dopo anni di indagini, potrebbe finalmente stringersi il cerchio sui responsabili grazie al lavoro degli investigatori ma anche alle rivelazioni dei numerosi pentiti. Fari accesi sui vertici del clan dei montanari Li Bergolis-Miucci che avrebbero ordinato l’agguato e forse partecipato in prima persona al quadruplice omicidio. Il gruppo criminale, colpito duramente poche settimane fa dal blitz “Mari e Monti” con 39 arresti per mafia, pizzo, armi e droga, potrebbe dunque subire un’altra spallata, ma stavolta con accuse ancor più gravi. I montanari, ormai è noto, avrebbero agito per vendicare “Orti Frenti”, il nome della masseria dove l’ex alleato Mario Romito, vero obiettivo della strage, avrebbe fatto piazzare alcune cimici, d’accordo con i carabinieri, durante un summit del 2 dicembre 2003. Le microspie registrarono alcune dichiarazioni autoaccusatorie del montanaro Matteo Lombardi alias “Lombardone”, poi condannato a 14 anni per omicidio.

Al momento è all’ergastolo, con una condanna definitiva, il solo Giovanni Caterino detto “Giuann Popò”, 44enne di Manfredonia, arrestato nel 2018, ritenuto il basista. L’uomo, fedelissimo del boss Enzo Miucci detto “U’ Criatur”, ha sempre respinto la proposta di collaborare con la giustizia, in linea con tutti gli altri membri dell’organizzazione criminale fondata da Ciccillo Li Bergolis a Monte Sant’Angelo. Ad oggi, infatti, non risultano pentiti tra i montanari, compatti ed ermetici nonostante arresti e sentenze. Un clan nel quale il vincolo familistico è più forte di tutto contrariamente ai rivali Lombardi-Scirpoli-Raduano che contano già una decina di collaboratori di giustizia. Proprio dai racconti di questi ultimi sarebbero emersi dettagli sulla strage del 2017.

“Vi è prova certa – si legge in un’ordinanza cautelare relativa a Miucci – che Caterino, appartenente al gruppo Li Bergolis, prese parte al quadruplice omicidio in qualità di ‘bacchetta’, ritirò insieme a Tommaso Tomaiuolo (altro esponente dei Li Bergolis, ndr), tre giorni prima, la vettura Ford C-Max utilizzata dai killer per compiere l’azione delittuosa, e che altri esponenti del clan Li Bergolis, tra cui il capo Enzo Miucci, parteciparono all’eccidio, secondo quanto propalato dal collaboratore di giustizia Andrea Quitadamo che apprese tali notizie in carcere dal predetto Tomaiuolo, il quale non fece alcun cenno al coinvolgimento nell’agguato di esponenti esterni al clan di sua appartenenza”.

A parere degli inquirenti “gli fece intendere – si legge ancora – che quel giorno della strage erano presenti anche altri sodali del clan Li Bergolis tra cui il viestano Girolamo Perna (ucciso nel 2019, ndr) e Roberto Prencipe (probabilmente un tale ‘Roberto della montagna’) oltre a Enzo Miucci”. “U’ Criatur” è già in cella per varie vicende inclusa l’operazione “Mari e Monti”, Prencipe era a piede libero fino al 16 ottobre scorso, giorno del blitz.

Secondo un altro collaboratore di giustizia, il manfredoniano Carlo Magno, avrebbe preso parte all’attentato anche Saverio Tucci detto “Faccia d’Angelo”, boss del narcotraffico per conto dei montanari. Sarebbe stato lo stesso Tucci a rivelarglielo prima di essere ucciso ad Amsterdam, proprio da Magno, per un affare di droga andato male.

Anche la sentenza del processo “Omnia Nostra” contro il clan Lombardi-Scirpoli-Raduano toccò i temi della strage. In un passaggio si legge che Miucci chiese a Perna notizie circa il rinvenimento di guanti e passamontagna a bordo di una non meglio specificata auto.

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Miucci avrebbe palesato “una certa preoccupazione sicuramente riferibile al pericolo di ulteriori azioni omicidiarie nella guerra tra clan: ‘Che faceva quella macchina quella sera con guanti e cappucci…’. Come noto – evidenziò la giudice Valenzi -, il 9 agosto 2017 veniva assassinato Mario Luciano Romito, insieme a suo cognato Matteo De Palma e ai fratelli Luciani. Già dal giorno prima, Miucci non ha più utilizzato l’utenza monitorata risultando quindi irrintracciabile fino al giorno del suo arresto (avvenuto il 23 agosto 2017 a Monte Sant’Angelo). L’ultimo messaggio risale infatti all’8 agosto 2017 alle ore 12:52″.

C’è poi il caso che coinvolge il già citato “Lombardone”, 62enne pregiudicato, parente dei Li Bergolis. Lombardi scontò 14 anni di carcere per omicidio proprio in seguito al “tradimento di Orti Frenti” ma l’uomo, intervistato da Daniele Piervincenzi in “Mappe Criminali” su Sky, parlò di Mario Luciano Romito come di “un fratello”, negando ogni suo coinvolgimento.

Dalle carte dell’inchiesta che portò all’arresto di Caterino emerse che la mattina della strage, “Lombardone” contattò insistentemente Angelo Tarantino, un uomo di San Nicandro Garganico già noto agli inquirenti. “Ma lo chiamavo per le mucche”, disse a Piervincenzi. Numerosi gli squilli dal telefono del montanaro, tutti senza risposta. Tarantino era stato visto spesso in compagnia di Caterino nei giorni precedenti all’agguato, ma non è tutto. Il sannicandrese era solito frequentare la masseria della zia, una struttura verso la quale fuggirono i killer subito dopo il quadruplice omicidio. Lo stesso Caterino venne ripreso dalle telecamere insieme a Tarantino nei pressi di quella struttura.

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